Il figlio Filippo ricorda il papà Giuseppe De Angelis.
UN PAPÀ PARLA AL FIGLIO DELLA MORTE
Interrogavo papà su tutto, su qualsiasi dubbio che potessi avere, su qualsiasi domanda che mi passasse per la mente.
Crescendo mi incuriosiva sapere cosa pensasse della morte. Spaventato, l’ho interrogato.
La morte come passaggio da questa vita ad altrove, per papà assomigliava al passaggio da altrove a questa vita.
Il neonato, del resto, piange come un disperato. Lo fa per paura, diceva papà, paura di una realtà che non conosce, di un futuro completamente ignoto, per paura di vivere. Altro è lo stato d’animo della madre e delle persone care attorno al neonato. Loro sanno bene cosa significa vivere e cosa implica. Quindi, sorridenti, lo rassicurano.
Allo stesso modo, di fronte alla morte, noi abbiamo paura. E ancora l’ignoto che ci preoccupa. Papà, però, mi diceva di non temere; nell’aldilà ci sarà chi si prenderà cura di noi, ci accarezzerà e ci rassicurerà.
Un po’ confuso e non soddisfatto della risposta, che si limitava al passaggio vita-morte, gli ho chiesto “dove” andremo.
Lui ha cercato di spiegarmi quanto non fosse pertinente la mia domanda, l’aldilà non ha, infatti, le tre dimensioni dello spazio. Non è una sua proprietà. Quindi non ci si può domandare “dove“ andremo. Sarebbe come chiedersi “dove“ si trovi il numero zero. Allo stesso modo l’aldilà e i numeri non hanno la dimensione del tempo.
Incuriosito da questa maniera più scientifica di spiegare la morte gli ho chiesto come fosse conciliabile con la visione fisica dell’universo.
Comunque, l’ultima metafora che papà usava per la morte è la più bella: quella del razzo. Il razzo, infatti, quando si alza in cielo perde la gran parte di sé per arrivare in alto. Un pezzo del razzo si stacca proprio. Così l’anima lascia qui il corpo per liberarsi alta in cielo.
Filippo De Angelis al funerale del papà Giuseppe, il 18 ottobe 2018, chiesa “Mater Dei”, Roma.