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Parrocchia Mater Dei.
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Pubblicato in: SILARUS, Maggio-Agosto 2002, p.48-51



"COSTEGGIANDO"

Una poesia di Don Orione tra mistica e bellezza

 

Che Don Orione fosse capace di grande lirismo poetico l'aveva segnalato già Don Giuseppe De Luca, eminente letterato del ‘900, in un suo articolo pubblicato in “ Nuova Antologia ” (giugno 1940, 229-234). “Molti innamorati di Dio conta l'Italia, dolorosi e fortissimi, amorosi sino alla follia e casti, tempestosi e sereni, spesso poeti e sempre creatori: Don Luigi Orione è uno di costoro”.

Per primo, forse, De Luca ha lasciato scarni ma precisi tratti dell'indole lirica di Don Orione non tanto rifacendosi ai pochi testi poetici soprattutto giovanili, talora anche in rima, ma al suo epistolario. “Le sue lettere, scritte currenti calamo rispecchiano la sua generosa anima: tumultuarie e fuggenti, improvvise e frettolose, contengono tuttavia brani che possono aiutarci a comprenderlo. Innanzi tutto, ce lo rivelano sempre in uno stato di ebbrezza spirituale. Non ragiona, non si descrive con ordine, non si esprime: si effonde”.

Prima del poeta, tale per la capacità di usare l'arte del dire, sta l'uomo, colto o indotto che sia, o innamorato o sofferente o santo, che sa liberare l'impulso creativo e comunicativo dell'anima. In questo senso, Don Orione fu un grande poeta: ispirato dalla carità e dall'urgenza del bene, “martirio e musica soavissima”, sviluppò una straordinaria capacità di creare e una erompente necessità di comunicare.

“Spesso se non sempre, tra un'opera e l'altra, tra un viaggio e l'altro, egli butta in carta i suoi pensieri: i quali, quantunque scritti rapidamente, non sono cose occasionali ma prorompono dal profondo”, come osserva ancora De Luca. “Le sue parole scaturivano da profondo fuoco in una luce sempre nuova”.

La pagina che presentiamo fu da Don Orione stesso titolata “ Costeggiando (Scritti 61, 15). Appartiene a uno dei rari casi in cui Don Orione ha scritto per il solo gusto del bello contemplato e da comunicare. Di fatto, sarà poi pubblicata nel Bollettino “ L'Opera della Divina Provvidenza” del 25 settembre 1898.

Si era nel 1898. Don Orione, appena ventiseienne, era stato invitato a Noto (Siracusa) dal vescovo Mons. Giovanni Blandini per aprirvi un'opera. Era il suo primo grande viaggio. Salpò da Genova il 14 settembre sera, a bordo della nave “Persia”, e giunse a Noto il 19 successivo. “Ci siamo imbarcati a Genova per Siracusa. Dormivamo sul cordame, fuori, alla luce delle stelle, fermandoci a Livorno, a Napoli, a Messina ” ( Annali II, 374).

Durante la navigazione, egli rimane incantato dallo splendore del paesaggio che lento e sempre nuovo scorre davanti a lui. Ha del tempo libero e sente quasi il dovere di occuparlo per cantare e fissare in parole l'inno che gli sgorga spontaneo dall'anima. Pare di vederlo, Don Orione, scrivere queste righe in ginocchio, almeno con l'anima, tra lunghe pause e profondi silenzi, mentre contempla la natura e adora il Creatore. La capacità dei sensi di vedere e apprezzare stimolano la capacità dello spirito di gustare. E le parole scendono sul foglio come poesia, come preghiera.

 Don Flavio Peloso

 

COSTEGGIANDO

Spiagge ridenti di bellezza, cielo poeticamente azzurro, giardini di Posillipo,

munificenza de' golfi di Napoli e di Gaeta, coronati da palme e da fiori,

sorrisi incantevoli di un'eterna primavera per l'infinito de' cieli.

Ville splendide di Pozzuoli, clima delizioso di Sorrento,

sole bellissimo come di maggio, viva immagine della vita;

e la sera la luna bianca e mille e mille stelle

che scintillano negli immensi padiglioni celesti,

riverberando la tremola luce nell'onda increspata del mare.

Aurore mattinali, belle come le aurore de' miei primi anni,

poesia sublime dell'universo, luce iridescente che piovi candida come la neve,

e dipingi le corolle e crei le armonie dell'iride su per le acque e pei colli!

Un profumo viene dalla spiaggia fiorita. Venite, venite, o balsami soavi!

O canti d'augelli, gorgheggi misteriosi,

aleggianti nell'aria serena, profumata. Venite e venite!

Oh quanto sei bella, o Italia!

Ma il tuo sorriso, o vaga plaga di Napoli, non è eterno!

Anche te, come la primavera dell'uomo, attende un'agonia.

Oh! perché, sparite, o cieli dalle dorate aurore,

dietro il mesto addio del tramonto?

E perché ti dilegui, o sole?

Perché mi abbandoni, o sereno, incantevole miraggio de' fiori?

I canti scemano e si spengono, il piroscafo mi porta lontano.

L'eco melodiosa si perde e la nota dell'anima mia è mesta!

Ma una visione d'angeli candidi mi viene dalle vette nevose dell'Etna,

e a te mi riconduce, o Gesù, fonte di eterna gioia.

«Sorgi» ed io risorgo.

Oh! vieni, o Gesù, poiché io vengo a te,

vieni ad empire il vuoto dell'anima mia.

Cento aurore sui cieli non eclissan la tua,

di cento primavere sui campi la tua è più bella,

e l'armonia dell'universo è muta innanzi a te,

aurora, primavera, armonia eterna delle anime.

Ed io a te canto l'inno del cuor mio.

Li ricordi, o Gesù, i primi palpiti per te all'Eucaristica mensa

di un connubio angelico, misterioso, nella delizia dell'innocenza,

nel santo maggio de' miei giorni belli? Li ricordi, o Gesù?

E i primi fiori che spargesti in me nell'effusione della tua grazia infinita,

coll'alito degli affetti immacolati?

Ma poi venne la colpa, venne il pianto, il gemito del pentimento:

ah! quei fiori, quel sorriso quella luce di grazia,

quella viva vampa di amore! Si sono dileguate,

come si va dileguando la spiaggia verde e fiorita e la luce del cielo!

Ma Tu mi sei riapparso col sorriso rinascente, vita in me di fiori novelli,

e mi hai detto: «Posa il tuo cuore sul mio.

Io sono il fiore che non appassisce, la primavera che non muore,

l'armonia che non si dilegua, il sole che non tramonta!»

E mi hai confortato.

Oh! Io t'abbraccio, tu mi inondi di vita eterna,

primavera de' secoli inconsumabili,

sorriso e delizia affascinante, inestinguibile del mio povero cuore.

E l'ultima nota dell'anima mia, non è più la nota della tristezza.

E' la nota della speranza, il canto della gioia, l'inno dell'amore a te, o Gesù!

 

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