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Parrocchia Mater Dei.
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La nostra Parrocchia ha una grazia tutta particolare: nel suo territorio sono presenti 7 comunità religiose, 2 maschili e 5 femminili.
Sabato 1 aprile, nella mattinata, le comunità religiose femminili si sono radunate presso la casa delle Suore Carmelitane del Divin Cuore di Gesù, in Via Trionfale 6157, per un ritiro spirituale guidato dal parroco Don Flavio.
C’è stato un tempo di meditazione, di adorazione eucaristica, di confessione, di Messa e di pranzo, in un clima di speciale fraternità per il fatto di essere tutte consacrate con voti, anche il parroco e due consacrate dell’Istituto Secolare Orionino.
Ogni comunità ha non solo un abito particolare, ma soprattutto ha un carisma proprio, cioè un modo particolare di seguire Gesù e di testimoniarlo nella Chiesa.

Don Flavio, nella meditazione, ha invitato alla cura della propria vita spirituale e apostolica commentando un brano di San Paolo ai Tessalonicesi e alcuni passaggi dell'enciclica Evangelii Gaudium di Papa Francesco.


                  Prima Lettera ai Tessalonicesi, alcuni passi dal capitolo 4.

                Riguardo all'amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri. Ma vi esortiamo, fratelli, a farlo ancora di più e a farvi un punto di onore: vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e di non aver bisogno di nessuno.
                Voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.
                Noi, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all'acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate.
                Vi preghiamo poi, fratelli, di aver riguardo per quelli che faticano tra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con molto rispetto e carità, a motivo del loro lavoro. Vivete in pace tra voi. Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono.

 

ATTENZIONE ALL’ACCIDIA

L’accidia è una parola che viene dal greco e vuol dire negligenza, indifferenza: ἀκηδία «negligenza», composta di ἀ- privativa «senza» e  κῆδος «cura». L’accidia è frutto della pigrizia spirituale, dell’indolenza, della svogliatezza che, alleate insieme, si impadroniscono sia dell’intelligenza che della volontà.
Papa Francesco ne parla in Evangelii Gaudium

 

81. Abbiamo più bisogno di un dinamismo missionario che porti sale e luce al mondo. Molti laici temono che qualcuno li inviti a realizzare qualche compito apostolico, e cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero.
Oggi, per esempio, è diventato molto difficile trovare catechisti preparati per le parrocchie e che perseverino nel loro compito per diversi anni.
Ma qualcosa di simile accade con i sacerdoti, che si preoccupano con ossessione del loro tempo personale.
Questo si deve frequentemente al fatto che le persone sentono il bisogno imperioso di preservare i loro spazi di autonomia, come se un compito di evangelizzazione fosse un veleno pericoloso invece che una gioiosa risposta all’amore di Dio che ci convoca alla missione e ci rende completi e fecondi. Alcuni fanno resistenza a provare fino in fondo il gusto della missione e rimangono avvolti in un’accidia paralizzante.

82. Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile. Da qui deriva che i doveri stanchino più di quanto sia ragionevole, e a volte facciano ammalare. Non si tratta di una fatica serena, ma tesa, pesante, insoddisfatta e, in definitiva, non accettata.
Questa accidia pastorale può avere diverse origini.

  1. Alcuni vi cadono perché portano avanti progetti irrealizzabili e non vivono volentieri quello che con tranquillità potrebbero fare.
  2. Altri, perché non accettano la difficile evoluzione dei processi e vogliono che tutto cada dal cielo.
  3. Altri, perché si attaccano ad alcuni progetti o a sogni di successo coltivati dalla loro vanità.
  4. Altri, per aver perso il contatto reale con la gente, in una spersonalizzazione della pastorale che porta a prestare maggiore attenzione all’organizzazione che alle persone, così che li entusiasma più la “tabella di marcia” che la marcia stessa.
  5. Altri cadono nell’accidia perché non sanno aspettare, vogliono dominare il ritmo della vita. L’ansia odierna di arrivare a risultati immediati fa sì che gli operatori pastorali non tollerino facilmente il senso di qualche contraddizione, un apparente fallimento, una critica, una croce.

83. Così prende forma la più grande minaccia, che «è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità».
Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da sé stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio».
Chiamati ad illuminare e a comunicare vita, alla fine si lasciano affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore, e che debilitano il dinamismo apostolico. Per tutto ciò mi permetto di insistere: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!

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