Questo sito utilizza cookie per le proprie funzionalità e per mostrare servizi in linea con le tue preferenze. Continuando a navigare si considera accettato il loro utilizzo. Per non vedere più questo messaggio clicca sulla X.
N.22666: Don Francesco Drzewiecki, l'uomo che edificava nel Lager di Dachau

PO POLSKU: Ks. Franciszek Drzewiecki: Nr 22666, człowiek, który w obozie koncentracyjnym w Dachau, budował swoją postawą

ESPAÑOL: BEATO FRANCISCO DRZEWIECKI: Testimonio de coraje y entrega

FRANÇAIS: Père François DRZEWIECKI: L’homme qui édifiait dans le camps de concentration de Dachau

PORTUGUÊS: N. 22666: Dom Francisco DRZEWIECKI, o homem que edificava no Campo de extermínio de Dacha

" /> Parrocchia Mater Dei.
thumb
Autore: Flavio Peloso

ITALIANO: N.22666: Don Francesco Drzewiecki, l'uomo che edificava nel Lager di Dachau

PO POLSKU: Ks. Franciszek Drzewiecki: Nr 22666, człowiek, który w obozie koncentracyjnym w Dachau, budował swoją postawą

ESPAÑOL: BEATO FRANCISCO DRZEWIECKI: Testimonio de coraje y entrega

FRANÇAIS: Père François DRZEWIECKI: L’homme qui édifiait dans le camps de concentration de Dachau

PORTUGUÊS: N. 22666: Dom Francisco DRZEWIECKI, o homem que edificava no Campo de extermínio de Dacha




N.22666: Don Francesco Drzewiecki,
l'uomo che edificava nel Lager di Dachau


Uno dei 108 rappresentanti di una Chiesa martire
I ricordi di un testimone, Don Jozef Kubicki



Al lager di Dachau è legata ad una delle pagine più tragiche e gloriose del Clero polacco: in esso furono reclusi ben 1780 ecclesiastici e di essi 868 vi trovarono la morte. La Chiesa non ha esitato a esaminare gli eventi nella ricerca degli elementi sufficienti per dare a molte vittime la gloriosa corona del martirio. Pensiamo a Massimiliano Kolbe, Tito Brandsma e ad Edith Stein, tra i più noti di una eroica schiera di testimoni di Cristo, periti nei lagers.
I martiri di questi campi non ebbero troncata la vita con un attimo pur eroico di sofferenza: si trattò di un lungo calvario fatto di umiliazioni, ingiurie, maltrattamenti, che prepararono e determinarono spesso l'olocausto conclusivo finale.

Tra gli eroici testimoni della fede e della carità cristiana morti a Dachau, brilla di eminente splendore la figura di Mons. Michal Kozal, vescovo di Wloclawek, e la corona di "socii martires", con lui morti a Dachau. Per 107 di essi è in corso il processo di beatificazione. Appartenevano a 17 Diocesi, all’Ordinariato militare e a 22 Congregazioni religiose: 3 vescovi, 51 sacerdoti diocesani, 21 sacerdoti religiosi, 3 chierici, 7 fratelli coadiutori, 8 suore e 9 laici.

Uno di questi è don Franciszek Drzewiecki, un Orionino, nato a Zduny, il 26.2.1908. Entrò adolescente nel seminario di Zdunska Wola (città di San Massimiliano Kolbe) per realizzare la sua vocazione sacerdotale e religiosa nella Piccola Opera della Divina Provvidenza del beato Don Luigi Orione. Dopo gli studi liceali e filosofici, nel 1931 andò in Italia, nella Casa madre di Tortona, per il noviziato e gli studi della teologia. Fu ordinato sacerdote il 6 giugno 1936. Spese le sue primizie sacerdotali al Piccolo Cottolengo di Genova-Castagna, una istituzione per handicappati gravi, dove era anche formatore di un gruppo di “vocazioni adulte”.
Ritornato in Polonia sul finire del 1937, Don Francesco continuò la sua attività di educatore nel collegio di Zdunska Wola. Nell'estate del 1939 fu chiamato ad occuparsi della Parrocchia "S.Cuore" e del Piccolo Cottolengo di Wloclawek. Qui lo sorpresero i noti e tremendi eventi bellici, scantenatisi a partire dall'invasione tedesca del 1° settembre 1939.

L'occupazione nazista si trasformò ben presto in persecuzione religiosa, realizzata in modo sistematico e particolarmente violento nella Polonia cattolica. Il 7 novembre di quel 1939, Don Drzewiecki e quasi tutto il Clero della diocesi di Wloclawek, compresi i seminaristi e il Vescovo Mons. M. Kozal, furono arrestati e tradotti in carcere. Iniziava una lunga via crucis di umiliazioni e di sofferenze: Wloclawek, Lad, Szczyglin, Sachsenhausen e infine Dachau. Dai compagni di lager fu ricordato come "l'uomo che edificava con la sua cortesia e premura" , secondo l'espressione di Mons. F.Korszynski nel suo noto libro Jasne promienie w Dachau (Pallottinum, Poznan, p.193).
Internato a Dachau il 14 dicembre 1940, Don Franciszek Drzewiecki, dopo due anni di stenti, di privazioni, di lavori forzati e di nobile presenza umana e religiosa, fu eliminato perché "invalido a lavorare". Morì il 13 settembre 1942. Aveva solo 34 anni: 6 di sacerdozio.

Tante sono le testimonianze della nobiltà e santità d'animo di Don Drzewiecki. Le più vive e commoventi sono quelle di suo compagno di prigionia, Don Jozef Kubicki, anch'egli Orionino e chierico di 24 anni al momento della reclusione a Dachau. Oggi, Don Kubicki ha 82 anni e vive ad Henrykow, vicino a Zdunska Wola, una casa per uomini “senza tetto”, emarginati, alcolizzati, vagabondi. Ascoltiamo la sua testimonianza.
"Appena giunti al campo, ci hanno condotto alle docce. Qui ci hanno tolto tutte le nostre cose e hanno dato i nuovi abiti (il pasiak) e i nuovi numeri. Don Drzewiecki mi tenne vicino a sé nella fila, così che io ricevetti il n.22665 e don Francesco il n.22666.
Al campo di concentramento, io lavoravo come falegname e don Drzewiecki era stato destinato alle piantagioni. Doveva fare lunghe ed estenuanti marce di trasferimento a piedi, lavora sotto sole, pioggia, vento”.
Al Lager era strettamente vietato farsi vedere pregare. Ma pregavamo ugualmente. Mons. Wladislaw Sarnik ricorda di essere stato con Don Drzewiecki a lavorare nelle piantagioni. Ebbene, mentre erano piegati sul campo di lavoro, tenevano davanti, a turno, la scatoletta dell'Eucarestia e facevano adorazione.
“Ci cercavamo nella folla dei prigionieri – ricorda ancora Don Kubicki. Don Francesco voleva raccontarmi tantissime cose, soprattutto dell'Italia, dove era stato per sei anni, di don Orione, dello sviluppo della Congregazione, ecc. Mi incoraggiava a essere fedele alla vocazione, a resistere, a pensare al futuro.

Venne il tempo in cui don Drzewiecki, lavorando nelle piantagioni si indebolì e si ammalò gravemente e il suo corpo si era molto gonfiato. Stava molto male. Gli mancavano le forze per camminare. Andò al revier (infermeria). Purtroppo, mentre don Drzewiecki si trovava al revier è venuta una Commissione. Tutti quelli che non erano in grado di lavorare ("i mussulmani", li chiamavano) li eliminavano: o con il gas o uccisi in altri modi. Fu così che don Drzewiecki, fu messo in un Block a parte e iscritto per il trasporto di invalidi. Quei viaggi terminavano al forno crematorio. Con il trasporto del 10 agosto 1942, Don Drzewiecki fu portato per l’eliminazione con il gas al Castello di Hartheim, nei pressi di Linz.

“Era mattino presto” – ricorda ancora don Kubicki. “Avevo finito il turno notturno di lavoro. Nella strada principale avevano condotto gli invalidi per preparare il carico dell'invalidentrasport. Don Francesco, pur sapendo di rischiare, attraversò la strada e mi venne a dare l'addio, con Don Victor Rysztok. Ha bussato alla finestra e io sono saltato su dal giaciglio, mi sono avvicinato alla finestra.

Don Drzewiecki mi disse: Giuseppino, addio! Partiamo.

Ero tanto abbattuto che non riuscivo a dire neanche una parola di rammarico. E don Drzewiecki continuò: Giuseppino non ti dar pena. Noi, oggi, tu domani...

E con grande calma disse ancora: Noi andiamo... Ma offriremo come Polacchi la nostra vita per Dio, per la Chiesa e per la Patria.

Sono state le sue ultime parole: Per Dio, per la Chiesa e per la Patria" (tratto da Due Orionini al Lager. Memoriale, Roma, 1997).

Don Drzewiecki manifestò in questo supremo e drammatico momento di essere buon pastore "pronto a dare la vita per le sue pecore" (Gv 10,11) e lo espresse nell'offrire, coscientemente e liberamente, quella vita che, all'apparenza dei fatti, gli era tolta iniquamente. Come Gesù. "Io offro la mia vita e poi la riprendo. Nessuno me la toglie; sono io che la offro di mia volontà" (Gv 10,17-18). Per don Drzewiecki, "agnello mansueto condotto al macello", la conformazione a Cristo, vittima e signore della morte, raggiunge il suo apice in quel saluto, prima di salire sul convoglio dell'invalidentrasport: "Per Dio, per la Chiesa e per la Patria".

Mons.Wladislaw Sarnik, compagno di prigionia di don Drzewiecki, lo ricorda "uomo entusiasta, sacerdote buono, uomo di pietà in senso stretto, amico premuroso, sereno, umile (ma nell'umiltà nascondeva la sua grandezza), uomo che non si lamentava mai, che nell'umiliazione si comportava da eroe e che mai si è espresso negativamente dei persecutori". "E' un vero martire", ha commentato di lui l'arcivescovo Mons. Bronislaw Dabrowski.

E' un dovere ricordare. I santi edificano la Chiesa e la società più d'ogni altro.


Per ulteriori notizie:

Beato FRANCISZEK DRZEWIECKI: omelia del Card. José Saraiva Martins

I 108 martiri polacchi

PELOSO F. – BOROWIEC J., Francesco Drzewiecki. N. 22666: un prete nel lager , (II ed.), Borla, Roma, 1999.





Ks. Franciszek Drzewiecki:
Nr 22666, człowiek, który w obozie koncentracyjnym w Dachau, budował swoją postawą


Jeden z 108 Sług Bożych, przedstawicieli Kościoła męczeństwa.
Wspomnienia jednego ze świadków, Ks. Józefa Kubickiego, orionisty.

Z obozem koncentracyjnym w Dachau jest związana jedna z najbardziej tragicznych a zarazem chwalebnych stron kleru polskiego. Osadzono tam bowiem ponad 1780 duchownych, z których 868 poniosło śmierć. Aby dać tym licznym ofiarom chwalebną koronę męczeństwa, Kościół wszczął proces informacyjny, zmierzający do ich beatyfikacji. Myślimy tutaj o Maksymilianie Kolbe, Tytusie Brandsmie i Edycie Stein, tych najbardziej znanych z heroicznej grupy świadków Chrystusa, doświadczonych w obozach.
Męczennikom tych obozów nie odebrano życia nagle, jakby jednym aktem heroicznego cierpienia: przeszli oni kalwaryjską długą drogę, naznaczoną upokorzeniami, zniewagami, złym traktowaniem, co prowadziło ich i często kończyło się całopalną ofiarą.

Wśród heroicznych świadków wiary i miłości chrześcijańskiej, którzy ponieśli śmierć w Dachau, wybija się postać bł. Michała Kozala, biskupa włocławskiego. Jest on koroną swoich współwięźniów - męczenników. Dla 107 z nich odbywa się proces beatyfikacyjny. Należeli oni do 17 diecezji, do Ordynariatu polowego i 22 Zgromadzeń zakonnych: 3 biskupów, 51 księży diecezjalnych, 21 księży zakonnych, 3 kleryków, 7 braci zakonnych, 8 sióstr i 9 osób świeckich.

Spośród tych męczenników pragniemy przybliżyć polskiemu czytelnikowi sylwetkę Ks. Franciszka Drzewieckiego, orionisty, urodzonego w Zdunach k/ Łowicza, 26.02.1908 r. Jako młodzieniec wstąpił do Seminarium w Zduńskiej Woli (miasto rodzinne św. Maksymiliana Kolbe), aby zrealizować swoje powołanie kapłańskie i zakonne w Zgromadzeniu “Małe Dzieło Boskiej Opatrzności”, które zostało założone przez Bł. Ks. Alojzego Orione. Po ukończeniu studiów filozoficznych w 1931r. wyjechał do Włoch, do Domu Macierzystego w Tortonie, dla odbycia nowicjatu i studiów teologicznych. Sakrament Kapłaństwa otrzymał 6 czerwca 1936 r. Mszę Prymicyjną odprawił w “Małym Cottolengo” w Genui, w Instytucie dla osób głęboko niepełnosprawnych, gdzie pełnił również obowiązki formatora grupy tzw. “powołań wieku dojrzałego”.

Po powrocie do Polski, pod koniec roku 1937, ks. Franciszek kontynuował swoją działalność wychowawczą w kolegium w Zduńskiej Woli. Latem 1939 r. podjął obowiązki w parafii Serca Jezusowego i w “Małym Cottolengo” we Włocławku. Tutaj też zaskoczyła go wojna.

Okupacja nazistowska dość szybko przekształciła się w prześladowanie religijne, realizowane w sposób systematyczny i szczególnie gwałtowny w katolickiej Polsce. Już 7 listopada 1939 r. Ks. Drzewiecki i prawie cały kler Diecezji Włocławskiej, łącznie z seminarzystami i Biskupem Michałem Kozalem, zostali aresztowani i umieszczeni w wiezieniu. Rozpoczęła się długa droga krzyżowa upokorzeń i cierpień: Włocławek, Ląd, Szczyglin, Sachsenhausen i wreszcie Dachau. Ks. Franciszek był wspominany przez współwięźniów jako człowiek, który budował swoją uprzejmością i gorliwością, co zapisał w swojej znanej książce “Jasne promienie w Dachau” Bp Fr. Korszyński (Pallottinum, Poznań 1954, s.193).

Internowany do Dachau 14 grudnia 1940 r. Ks. Fr. Drzewiecki po 2 latach trudów, niedostatków, przymusowych robót został wyeliminowany z życia czynnego jako “niezdolny do pracy”. Zmarł 13 września 1942 r., mając zaledwie 34 lata życia i 6 lat kapłaństwa.

Liczne są świadectwa szlachetności i świętości życia ks. Drzewieckiego. Najbardziej wzruszające z nich jest świadectwo ks. Józefa Kubickiego, również orionisty. Wraz z ks. Franciszkiem znalazł się w Dachau jako 24-letni kleryk. Posłuchajmy jego świadectwa.

“Zaraz po przybyciu do obozu zostaliśmy zaprowadzeni do łaźni. Tutaj zabrano nam wszystkie nasze rzeczy a dano nam pasiaki z numerami. Ks. Drzewiecki starał się trzymać mnie blisko siebie, dlatego, gdy ja otrzymałem numer 22665 jemu przypadł następny, a więc nr 22666.

W obozie pracowałem jako stolarz. Tymczasem ks. Drzewiecki zosta_ wyznaczony do pracy na plantacjach. Musiał więc wraz z innymi współwięźniami pokonywać długie i wyczerpujące marsze, aby dojść do pracy. Pracowano bez względu na warunki klimatyczne, pod palącym słońcem, na deszczu i wietrze. Pamiętam jak pewnego dnia ks. Drzewiecki przyniósł mi jakieś “rośliny”, których nie znałem. Podając mi je, mówił: “Jedz Józiu. We Włoszech te rośliny się jada i dobrze robią”.

Ciągle wypatrywaliśmy siebie w tłumie więźniów. Ks. Franciszek pragnął przekazać mi wiele wiadomości, zwłaszcza o Włoszech, gdzie przebywał przez 6 lat: o Ks. Orione i o życiu rozwijającego się prężnie nowego Zgromadzenia zakonnego. Często zachęcał mnie, abym pozostał wierny powołaniu, wytrwał i myślał o mojej przyszłości”.

Nadszedł jednak czas, kiedy ks. Drzewiecki, pracując na plantacjach tak wyczerpał swoje siły, że się ciężko rozchorował a całe jego ciało opuchło. Ponieważ nie mógł chodzić, umieszczono go na “rewirze”, tzn. na sali chorych. Właśnie w tym czasie przybyła tam specjalna komisja i wszystkich, którzy nie byli już w stanie powrócić do pracy likwidowano za pomocą gazu albo w inny sposób. Ks. Drzewiecki został przeznaczony do oddzielnego bloku i wpisany na listę do transportu “inwalidów”. Te transporty kończyły się w piecu krematoryjnym. Również Ks. Drzewieckiego wywieziono takim transportem 10 sierpnia 1942 r. i zagazowano w Zamku w Hartheim, w pobliżu Linzu.

“Był wczesny ranek” - wspomina ks. Kubicki - zakończyłem swoją nocną zmianę pracy. Główną ulicą obozu prowadzono tzw. “inwalidów”, aby przygotować dla nich transport. Ks. Drzewiecki, choć wiedział, że ryzykuje, zdobył się resztkami sił na przejście przez drogę, aby mnie pożegnać. Zapukał do okna. Zerwałem się z posłania, podbiegłem do okna i usłyszałem:
“Józiu, żegnaj! Odjeżdżamy!”.
Byłem tak przestraszony, że nie umiałem wypowiedzieć ani jednego słowa żalu. Tymczasem ks. Drzewiecki kontynuował:
“Józiu, nie miej żalu. My, dziś, jutro Ty...”.
Z wielkim spokojem powiedział jeszcze:
“My odchodzimy... lecz jako Polacy ofiarujemy nasze życie Bogu, Kościołowi i Ojczyźnie” Były to jego ostatnie słowa”.

Ks. Drzewiecki ukazał w tym najważniejszym i dramatycznym momencie, że jest dobrym pasterzem gotowym “oddać życie za swoje owce” (J 10,11), co wyraził w świadomej i dobrowolnej ofierze ze swego życia, które - w świetle faktów - zostało mu niesłusznie odebrane. Mógłby powtórzyć za Jezusem: “Ja życie moje oddaję, aby je (potem) znów odzyskał. Nikt mi go nie zabiera, lecz ja od siebie je oddaję.” (J 10,17-18).
Dla Ks. Drzewieckiego, powierzenie się Chrystusowi, Ofierze i Panu śmierci, zanim wejdzie do konwoju “invalidentransport”, osiąga swój szczyt w tym pozdrowieniu: “Bogu, Kościołowi, Ojczyźnie”. Ks. Inf. Władysław Sarnik, również więzień obozu w Dachau, wspomina ks. Drzewieckiego jako “człowieka - entuzjastę, dobrego kapłana, człowieka pobożnego w ścisłym tego słowa znaczeniu, zatroskanego przyjaciela, pogodnego, pokornego (lecz w pokorze ukrywał swoją wielkość), człowieka, który nigdy nie narzekał, który w upokorzeniach zachowywał się jak bohater i który nigdy nie wyrażał się negatywnie o prześladowcach”. “Jest to prawdziwy męczennik”, określił Ks. Drzewieckiego ks. Arcybiskup Bronisław Dąbrowski.

Jest to wspomnienie wprost zobowiązujące. Kościół i społeczeństwo przede wszystkim budują święci.


Dla pogłębienia tematu patrz:

DRZEWIECKI and 108 Polish Martyrs

SZKOŁA AMBONĄ Z KTÓREJ GŁOSI SIĘ WIARĘ I KATEDRĄ CYWILIZACJI







DON ORIONE, Buenos Aires, Nº9 Julio - Agosto 1999



BEATO FRANCISCO DRZEWIECKI,
Testimonio de coraje y entrega


Por Carina Campo





Desde el pasado 13 de junio, cuando en Varsovia (Polonia) el papa Juan Pablo II proclamó beato a Francisco Drzewiecki, la familia orionita tiene un nuevo hijo reconocido como modelo e intercesor ante Dios.
El padre Francisco -que fue beatificado junto a otros 107 mártires polacos religiosos y laicos- murió el 13 de septiembre de 1942 después de tres años de prisión. Tenía sólo 34 años y seis de sacerdote, y desde temprana edad había manifestado su vocación religiosa.
De hecho, la familia Drzewiecki era originaria de Zduny, un antiguo pueblo de agricultores donde es muy tradicional la intensidad religiosa y patriótica, puesta de manifiesto -entre otras cosas- en un claro orgullo por su majestuosa iglesia gótica.
En este pueblo, el 26 de febrero de 1908 nació Francisco, hijo de Juan y Rosalía, quien pasó allí los primeros años de su vida en compañía de sus cuatro hermanos y sus seis hermanas. La vida de niño de Francisco era la normal de un ambiente familiar pobre, laborioso, unido y religioso. El pequeño se distinguía por su inteligencia y capacidad práctica. "Era tranquilo y educado. Estudiaba con voluntad. A la noche los niños rezábamos las oraciones con las manos juntas. No era necesario que nuestros padres nos lo recordaran", recuerda su hermana Ana. Y aún antes de ir a la escuela, ya había recibido una buena formación de sus padres. Ayudaba a sus hermanos menores y a la usanza polaca pastoreaba en el campo. Tal empeño práctico garantizaba una buena preparación a la vida de sacrificios.
Las circunstancias no permitieron que estudiaran todos los hermanos. En el año 1923 muere el padre y Francisco debe interrumpir sus estudios. La madre busca otra escuela y reconoce que su hijo se sentía llamado al sacerdocio.


En la casa de las misiones

Doña Rosalía -la mamá de Francisco- contaba abiertamente el problema que tenía al pensar en el futuro de sus hijos. Habiendo escuchado ésto, alguien le ofreció una buena solución: cerca de la ciudad de Zdunska Wola existía un colegio para niños dispuesto a aceptar a toda clase social.
Aquella información parecía una respuesta del cielo, y en especial de la Virgen, a la que la madre del futuro sacerdote orionino rezaba con devoción. Con una breve recomendación del obispo de la región en la que destacaba su religiosidad, diligencia y comportamiento, fue aceptado inmediatamente. Era el 1º de septiembre de 1924. Una nueva congregación todavía no conocida en Polonia -la Pequeña Obra de la Divina Providencia- hacía poco que había iniciado su actividad para los jóvenes más pobres. El director, P. Aleksander Chwilowiez, imitaba el ejemplo de Don Orione en favor de la vocación de los pobres y comenzó transformando una vieja taberna en un colegio de segunda enseñanza clásica con internado para favorecer una adecuada formación de los jóvenes.
En este entorno, Francisco maduró la idea de encomendarse a Dios. Y el 10 de diciembre de 1930, luego de seis años de colegio, hace su primera profesión religiosa.


Formación y trabajo

La congregación orionina en Polonia estaba, en los años 30, en pleno desarrollo: ampliación de la casa de Zdunska Wola, cocina para los pobres, oficina tipográfica, actividades pastorales, fundación de la parroquia y Pequeño Cottolengo en Wloclawek, obra caritativa en Izbicakjawska e instituto para los niños en Kalisz. Pero la prioridad era -sobre todo- el aumento de nuevas vocaciones religiosas.
Ya por entonces Don Orione hablaba con admiración de la labor de Francisco, quien en 1931 había terminado sus estudios de filosofía e iniciado los de teología. Entonces, los superiores deciden mandarlo a Italia para finalizar su formación.
Ya sacerdote, se le confía el cuidado de unos veinte "carissimi", clérigos de la institución empeñados en el estudio y el trabajo para la ampliación del edificio del "Pequeño Cottolengo " en Quatro-Castagna, Génova.
El padre Francisco se ganó pronto la estima y el afecto de los jóvenes por la nobleza de su trato, su calma y bondad: "Nuestro director era siempre rápido, vigilante con su presencia y bondad, era gentil, afable y reservado. Nos sentíamos naturalmente animados con su presencia siempre atenta y afectuosa", señaló uno de sus clérigos. Promovía y disfrutaba del espíritu de la familia y del Pequeño Cottolengo: "Tengo trabajo de sobra porque este año la familia del cottolengo aumentó y hay nuevas necesidades. Somos 150 personas. Estoy muy contento de encontrarme aquí, donde se hace la voluntad de Dios", le contó Francisco a un amigo en Polonia.
En el verano de 1939 retornó a Polonia para ayudar en la parroquia y en el Pequeño Cottolengo de Wloclawek y lo sorprendió el estallido de la Segunda Guerra Mundial.


Testigo fiel

El 14 de septiembre de 1939 los alemanes entraron en Wloclawek. Toda Polonia fue presa de la invasión nazi y en poco tiempo desaparecería literalmente del mapa de Europa.
La potencia bélica y la inaudita atrocidad perpetuada por los alemanes suscitaron pánico y consternación, obligando a la población a huir a cualquier refugio. Las calles estaban llenas de fugitivos. En Wloclawek, donde estaban los orioninos, los aviones bombardearon los principales objetivos. Del clero sólo quedaron cinco o seis sacerdotes que se refugiaron en los sótanos del seminario, para protegerse de las bombas.
Mucha gente se amontonó en el cottolengo: ¿cómo dejarlos sin atención? Las monjas orioninas y el padre Francisco se prodigaron para ofrecer ayuda, comida y refugio. "En los primeros días -escribió el joven sacerdote orionino- veíamos a los soldados polacos que escapaban, sufrían hambre. Ayudábamos a los heridos. Bajo la Iglesia había cien personas. Cada tanto, pasaban los aviones bombardeando, sembrando el pánico y ocasionando incendios, heridos y muertos. He tomado coraje y en bicicleta, trataba de ayudar a los heridos".
El padre Francisco no descansaba y confesaba al aire libre sentado en una piedra: "De día iba al bosque donde confesaba a los soldados bajo un pino. Una vez empezaron los bombardeos y yo levanté en mis brazos el cuadro de la Virgen. Ningún soldado resultó muerto, la Virgen nos había protegido".
En la madrugada del 8 de noviembre de 1939, todo los sacerdotes, los seminaristas y el obispo de la diócesis fueron detenidos y llevados a la cárcel, donde quedaron más de dos meses, luego de lo cual fueron trasladados a otra prisión en un viaje terrible sobre un camión descubierto con más de 20º bajo cero. El viaje concluyó en un convento de los salesianos, destinado por entonces a ser la cárcel del clero. Monseñor Sarmik quedó admirado por la serenidad, humildad y benevolencia del religioso orionino: "Ayudaba, trabajaba y nunca se lamentaba", comentó.
El 14 de diciembre de 1940 el padre Francisco llega a Dachau, un campo de concentración nazi, última etapa de su calvario. Le fue asignado el número 22.666 y le explicaron que de allí no saldría más porque la Gestapo (policía secreta de Hitler) había ordenado que "el clero y los judíos debían desaparecer".
El "lager" de Dachau era un enorme campo de trabajo para sostener la economía militar alemana, con turnos agobiantes de 15 horas diarias de tareas y en condiciones climáticas pésimas. En ese tiempo trabajaban allí 2.500 eclesiásticos.


Por Dios, por la Iglesia, por la Patria

Una carta fechada en Dachau del 13 de septiembre de 1942, y firmada por un oficial de las S.S., da cuenta de la muerte del padre Francisco Drzewiecki. En ella se decía, también, que habían sido enviados tres paquetes con sus efectos personales a doña Rosalía, la madre. Ese año en el campo de concentración de Dachau fue el tiempo del hambre, el año más duro que el clero hubiera recordado. Cerca de 500 sacerdotes polacos murieron aquel 1942. Uno de los métodos para eliminar a los reclusos era la llegada de "El Transporte de los Inválidos". Una comisión visitaba cada tanto la enfermería del "lager" y hacía la lista de los "inválidos a transportar". Les decían que los llevaban en el tren para una "mejor vida", pero todos sabían que el viaje terminaba en el horno crematorio. Cuando los nazis lo vienen a buscar, se despidió con gran entereza. En ese supremo y dramático momento, el padre Francisco demostró ser un pastor dispuesto a dar la vida por su rebaño.
Un compañero suyo, también clérigo orionino, Josef Kubicki, que sobrevivió al campo de concentración de Dachau, recuerda ese último encuentro: "El padre Drzewiecki me dijo: - ¡Adiós, José! Partimos.
Yo estaba tan abatido que no podía decir ni una palabra de aliento. Y el padre Drzewiecki continuó:
- José no te pongas triste. Nosotros, hoy, tú mañana...
Y con gran calma todavía pudo decir:
- Nos vamos, pero ofrecemos como polacos nuestra vida por Dios, por la Iglesia y por la Patria. Y no regresó nunca más".
Hoy, el padre Francisco testimonia el sufrimiento y martirio de millares de seres humanos. Y también la fe de tantos otros que, hasta el último aliento, se supieron hijos del Dios de la Vida.


Mártires polacos

El padre Francisco Drzewiecki fue beatificado por el papa Juan Pablo II en una ceremonia realizada en su tierra natal junto a otros 107 religiosos y laicos polacos.
Los nuevos mártires padecieron torturas, experimentos pseudo-médicos, hambruna y trabajos forzados, y murieron - la mayoría en diferentes campos de concentración- fusilados, ahorcados, decapitados, en las cámaras de gas, o como consecuencia de los malos tratos recibidos. De ellos, 3 eran obispos, 52 sacerdotes diocesanos, 26 sacerdotes religiosos, 7 hermanos, 8 religiosas, 3 seminaristas y 9 laicos, entre los que figura una viuda que pidió tomar el lugar de su nuera embarazada de ocho meses para salvar la vida de la madre y el niño.



N.22666: Père François DRZEWIECKI,
L’homme qui édifiait dans le camps de concentration de Dachau




Le camps de concentration de Dachau a marqué une des pages les plus tragiques et glorieuses du clergé polonais. En ce camp furent reclus 1780 clercs. On y trouve 868 morts. L’Eglise n’a pas hésité à examiner en ces évènements, les éléments suffisants pour offrir à plusieurs victimes la couronne de gloire du Martyr. Nous pensons à Maximilien Kolbe, Tito Brandsna et Edith Stein parmi les plus connus de la troupe héroïque des témoins péris aux camps. Les martyrs de ces camps de concentration n’ont pas eu la vie tranchée en un moment, même si d’héroïque souffrance. Il s’agit ici d’un long calvaire, parsemé d’humiliation, d’injures, de maltraitances qui préparaient et déterminaient l’holocauste final.

Parmi les héroïques témoins de la foi et de la charité chrétienne morts à Dachau, brille l'éminente splendeur de la figure de Monseigneur Mikal Kozal, évêque de Wloclawek et la couronne de ‘compagnons martyrs’, qui sont morts avec lui.
Pour 107 parmi eux, le procès de béatification est en cours. Ils appartenaient à 17 diocèses, à l’Ordinariat Militaire et à 22 Congrégations religieuses : 3 évêques, 51 prêtres diocésains, 21 prêtres religieux, 3 séminaristes, 7 frères coadjuteurs, 8 sœurs et 9 laïcs.

Le Père François Drzewiecki, orioniste, est l’un d’eux. Il est né à Zdung le 26-2-1908. Il entra adolescents au séminaire de Zdunska Wola (ville de saint Maximilien Kolbe) pour réaliser sa vocation sacerdotale et religieuse dans la Petit Œuvre de la Divine Providence du Bienheureux Luis Orione. Après ses études au lycée et la philosophie, en 1931 il se rendit en Italie à la Maison mère de Tortona pour le Noviciat et les étude théologiques. Il fut ordonné prêtre le 06 Juin 1936. Il dépensa ses prémisses sacerdotales au Petit Cottolengo de Gênes – Castagna, une institution pour les malades handicapés graves, où était aussi le formateur d’un groupe “des vocations adultes”.
Une fois son activité terminée à Gênes, en 1937 le Père François retourna en Pologne où il continue son activité d’éducateur au collège de Zdunska Wola. Dans l’été de 1939 il fut appelé à s’occupé de la Paroisse “Sacré Cœur” et du Petit Cottolengo de Wloclawek. C’est ici qu’il fut surpris par la terrible invasion de l’Allemagne nazie du 1er Septembre 1939.
L’occupation nazie, se transforma aussitôt en une persécution religieuse, effectuée de manière systématique et particulièrement violente dans la catholique Pologne. Le 7 septembre de cette même année 1939, le Père Drzewiecki et presque tout le clergé du Diocèse de Wloclawek, y compris les séminaristes et l’Evêque Monseigneur M. Kozal, furent arrêtés et mis en prison. Ici commença un long chemin de croix d’humiliations et de souffrance : Wloclawek, Lad, Szczyglin, Sachsenhansen et enfin Dachau. Ses compagnons se souvenaient de lui comme “l’homme qui édifiait avec sa courtoisie et sa sollicitude”, selon l’expression de Mgr F. Korszynski dans son fameux livre, Jasne promienie w Dachau (Pallottinum, Poznan, p. 193).
Interné à Dachau le 14 décembre 1940, le Père F. Drzewiecki, après deux années de peines, de privations, de travaux forcés et de noble présence humaine et religieuse, il fut éliminé parce que ‘invalide au travail’. Il mourut le 13 Septembre 1942 à l’âge de 34 ans et 6 de prêtrise.

Plusieurs sont les témoignages de noblesse et de sainteté d’âme du Père Drzewiecki. Les plus vifs et les plus émouvants sont ceux de son compagnons de prison le Père Joseph Kubicki, lui aussi orioniste et séminariste de 24 ans au moment de la réclusion à Dachau. De nos jours, le Père Kubichi à 82 ans et vit à Henrykow, à côté de Zdunska Wola, dans une maison des hommes “sans-abri”, marginalisés, ivrognes, vagabonds. Ecoutons son témoignage.
« Dès notre arrivée au camp, on nous a conduit aux toilettes. Ici, ils nous ont dépouilles de nos habits et nous on donnés des nouveaux habits (le pasiak) et des nouveaux numéros. Le Père Drzewiecki était à côté de moi dans la file, ainsi je reçut le numéros 22665 et lui le 22666.
Au camp de concentration, moi je travaillais comme menuisier et le Père Drzewiecki était destiné à la plantation. Il devait faire de longues et exténuantes marches de transfert à pied, travaillait sous le soleil, la pluie, le vent ».
Au camp de concentration c’était strictement interdit de se faire voir en prière. Nous prions cependant. Monseigneur Wladislaw Sarnik se rappelle d’avoir été avec le Père Drzewiecki aux travaux dans les plantations. Pendant qu’ils étaient sur le champs de travail, ils tenaient devant eux et à tour de rôle, la petite boite de l’eucharistie et faisaient l’adoration.
« Nous nous cherchions dans la foule des prisonniers - rappelle encore le Père Kubichi - le Père François voulait me raconter tant de choses, surtout de l’Italie où il avait été pendant six ans avec Don Orione, du développement de la Congrégation, etc. Il m’encourageait à être fidèle à la vocation, à résister, à penser à l’avenir.
Il advint un temps ou le Père Drzewiecki en travaillant dans les plantations, s’est affaibli et tomba gravement malade. Tout son corps était gonflé. Il se sentait beaucoup mal. Il lui manquait des forces pour marcher. Il se rendit au ‘revier’ (l’infirmerie). Malheureusement pendant que le Père Drzewiecki se trouvait là, arriva une Commission. Tous ceux qui étaient incapables de travailler (on le appelait ‘les musulman’), devraient être éliminés, ou par le gaz ou d’une autre manière. C’est ainsi que le Père Drzewiecki fut mis à part dans un block et inscrits pour le transport des invalides. Ces voyages se terminaient aux fours crématoires. Avec le transport du 10 août 1942, le Père Drzewiecki fut emporté pour l’élimination au moyen du gaz au Château de Hartheim, près de Linz ».
« C’était le matin tôt - se souviens encore du Père Kubicki - j’avais terminé le tour nocturne de travail. Dans la voie principale, ils avaient conduit les invalides pour préparer la charge de l’invalidentrasport. Le Père François, tout en sachant de risquer, traversa la route et vint me donner l’adieu ; j’été avec le Père Victor Rysztok. Il a frappé à la fenêtre, et moi je suis sauté de mon lit pour m’approcher de la fenêtre.

Le Père Drzewiecki me dit : “Giuseppino, adieu ! nous partons”.

J’étais tellement abattu que je ne pu même dire une seule parole de regret. Et le Père Drzewiecki continua: “Giuseppino ne te donne pas la peine. Nous aujourd’hui, toi demain…”.

Et avec beaucoup de calme dit encore: “nous allons… Mais nous offrirons, en tant que Polonais, notre vie pour Dieu, pour l’Eglise et pour la Patrie”.

C’était ses dernières paroles: «pour Dieu pour l’Eglise et pour la Patrie» (Tiré de: Due orionini nel Lager. Memoriale, Rome, 1997).

Le Père Drzewiecki manifesta en ce suprême et dramatique moment d’être bon Pasteur “prêt à donner sa vie pour ses brebis” (Jean 10,11), et le signifia dans l’offrande, conscient et libre, de cette vie, qu’à l’apparence des faits lui serait iniquement enlevée. Comme Jésus. “J’offre ma vie et ensuite je la reprends, personne ne me l’enlève; c’est moi qui la donne de ma propre volonté (Jean 10,17-18). Pour le Père Drzewiecki “le doux agneau conduit à l’abattoir”, la conformation au Christ, victime et seigneur de la mort, rejoint son sommet dans ce salut, qu’il donna avant de monter sur le convoi de l’invalidentrasport : “pour Dieu, pour l’Eglise et pour la Patrie”.

Monseigneur Wladislaw Sarnik, compagnon de prison du Père Drzewiecki le rappelle en ces termes “homme enthousiaste, bon prêtre, homme de piété en sens étroit du terme, ami empressé, serein, humble (mais qui dans cette humilité, il cachait sa grandeur), un homme qui ne se plaignait jamais, qui dans les humiliations se comportaient en héros, et qui ne s’est jamais prononcé négativement contre ses persécuteurs”. “C’est un vrai martyr” disait de lui l’Archevêque Mgr Bronislaw Dabronrski.

C’est un devoir de se souvenir. Les saint édifient l’Eglise et la société plus que n’importe qui.

Pour d’autres renseignements voir :

Bienheureux François Drzewiecki : Homélie du Cardinal José Saravia Martins

Les 108 martyrs Polonais

PELOSO F. – BOROWIEC J., Francesco Drzewiecki. N. 22666: un prete nel lager , (II ed.), Borla, Roma, 1999.






N. 22666: Dom Francisco Drzewiecki,
o homem que edificava no Campo de extermínio de Dachau


Um dos 108 representantes de uma Igreja mártir
As recordações de uma testemunha, Dom Jozef Kubicki



Ao lager (campo de concentração) de Dachau está ligada uma das páginas mais trágicas e gloriosas do Clero polonês: nele estiveram como prisioneiros bem 1780 eclesiásticos e desses, 868 ali encontraram a morte. A Igreja não exitou em examinar os eventos na procura dos elementos suficientes para dar a muitas vítimas a gloriosa coroa do martírio. Pensemos a Maximiliano Kolbe, Tito Brandsma e a Edith Stein, entre os mais conhecidos de uma heróica fileira de testemunhas de Cristo, peritos nos lagers.
Os mártires destes campos não tiveram sua vida interrompida de repente por um momento heróico de sofrimento: tratou-se de um longo calvário feito de humilhações, insultos, torturas, que prepararam e determinaram com freqüência o holocausto conclusivo final.

Entre as heróicas testemunhas da fé e da caridade cristã mortas em Dachau, brilha com sublime esplendor a figura deDom Michal Kozal, bispo de Wloclawek, e a coroa dos “socio-mártires”, com ele mortos em Dachau. Para 107 desses, está em andamento o processo de beatificação. Pertenciam a 17 dioceses, ao Ordinariato militar e a 22 congregações religiosas: 3 bispos, 51 sacerdotes diocesanos, 21 sacerdotes religiosos, 3 clérigos, 7 irmãos coadjutores, 8 Irmãs religiosas e 9 leigos.

Um destes é Dom Francisco Drzewiecki, um Orionita, nascido em Zduny, no dia 26/02/1908. Entrou adolescente no seminário de Zdunska Wola (cidade de São Maximiliano Kolbe) para realizar a sua vocação sacerdotal e religiosa na Pequena Obra da Divina Providência do beato Dom Luiz Orione. Após os estudos do ensino médio e filosofia, em 1931 foi para a Itália, para a Casa mãe de Tortona, para o noviciado e os estudos da teologia. Foi ordenado sacerdote no dia 6 de junho de 1936. Exerceu as primeiras atividades de seu ministério sacerdotal no Pequeno Cotolengo de Gênova-Castagna, uma instituição para deficientes graves, onde era também formador de um grupo de “vocações adultas”. Voltando à Polônia no final de 1937, Pe. Francisco continuou a sua atividade de educador no Colégio de Zdunska Wola. No verão de 1939 foi chamado para trabalhar na Paróquia “Sagrado Coração” e no Pequeno Cotolengo de Wloclawek. Aqui o surpreenderam os conhecidos e terríveis episódios de guerra, desencadeados a partir da invasão alemã de 1º. de setembro de 1939.

A ocupação nazista se transformou logo em perseguição religiosa, realizada sistematicamente e particularmente violenta na Polônia católica. No dia 7 de novembro de 1939, Dom Drzewiecki e quase todo o Clero da diocese de Wloclaweck, compreendidos os seminaristas e o Bispo Dom M. Kozal, foram presos e levados ao cárcere. Iniciava uma longa via-sacra de humilhações e sofrimentos: Wloclawek, Lad, Szczyglin, Sachsenhausen e enfim Dachau. Dos companheiros de lager ele foi lembrado como “o homem que edificava com a sua cortesia e virtude”, segundo a expressão de Dom F.Korszynski no seu conhecido livro Jasne promienie w Dachau (Pallottinum, Poznan, p.193). Levado a Dachau no dia 14 de dezembro de 1940, Dom Francisco Drzewiecki, depois de dois anos de sofrimentos, de privações, de trabalhos forçados e de nobre presença humana e religiosa, foi eliminado porque “inválido para o trabalho”. Morreu no dia 13 de setembro de 1942. Tinha apenas 34 anos de idade: 6 de sacerdócio. Tantos são os testemunhos da nobreza e santidade de espírito de Dom Francisco Drzewiecki. Os mais vivos e comoventes são aqueles do seu companheiro de prisão, Dom Jozef Kubicki, também ele Orionita e clérigo de 24 anos no momento da prisão em Dachau. Hoje, Dom Kubicki, tem 82 anos e vive em Henrykow, perto de Zdunska Wola, uma casa para pessoas “sem casa”, marginalizados, alcoolizados, perambulantes. Escutemos o seu testemunho.
“Apenas chegamos ao campo, nos conduziram aos chuveiros. Ali tiraram todas as nossas roupas e nos deram novas roupas (o pasiak) e os novos números. Dom Francisco me havia segurado perto de si na fila; assim eu recebi o nº. 22665 e Dom Francisco o nº. 22666.
No lager, eu trabalhava como marceneiro e Dom Francisco foi destinado para as plantações. Tinha que fazer longas e extenuantes caminhadas a pé, trabalhava debaixo de sol, chuva, vento”.
No lager era terminantemente proibido ser visto em atitude de oração. Mas nós rezávamos igualmente. Dom Wladislaw Sarnik recorda de ter trabalhado com Dom Francisco nas plantações. Bem, enquanto eram curvados no campo de trabalho, tinham à frente de si, em alternância, a caixinha da Eucaristia e faziam adoração.

“Nos cercávamos na multidão dos prisioneiros – recorda ainda Dom Kubicki. Dom Francisco queria contar-me tantíssimas coisas, sobretudo da Itália, onde esteve por seis anos, de Dom Orione, do desenvolvimento da Congregação, etc. Me encorajava a ser fiel à vocação, a resistir, a pensar no futuro.

Chegou o tempo em que Dom Francisco, trabalhando nas plantações se enfraqueceu e adoeceu gravemente e o seu corpo se inchou muito. Estava muito mal. Não tinha forças para caminhar. Foi à enfermaria. Infelizmente, enquanto ele estava na enfermaria veio uma Comissão. Todos aqueles que não conseguiam trabalhar (“os muçulmanos”, assim os chamavam) eram eliminados: ou com o gás ou assassinados de outras maneiras. Foi assim com Dom Francisco, foi colocado em uma sala a parte e inscrito para o transporte de inválidos. Aquelas viagens terminavam no forno crematório. Com o transporte de 10 de agosto de 1942, Dom Francisco foi levado para ser eliminado com o gás no Castelo de Hartheim, perto de Linz.
“Era bem cedo” – recorda ainda Dom Kubicki. “Eu tinha terminado o turno da noite de trabalho. Na estrada principal tinham conduzido os inválidos para preparar o carregamento dos “invalidentrasport”. Dom Francisco, mesmo sabendo que se arriscava, atravessou a estrada e veio me dar o adeus, com Dom Victor Rysztok. Bateu na janela e eu saltei do colchão e fui até à janela.

Dom Francisco me disse: Zezinho, adeus! Nós partimos.

Eu estava tão abatido que não conseguia sequer dizer uma palavra de amargura. E Dom Francisco continuou: Zezinho, não fica com pena de mim. Nós, hoje, tu amanhã…

E com muita calma disse ainda: Nós vamos... ma ofereceremos como poloneses a nossa vida para Deus, pela Igreja e pela Pátria.

Foram estas as últimas suas palavras: Para Deus, pela Igreja e pela Pátria” (tirado de: Due Orionini al Lager. Memoriale, Roma, 1997).

Don Francisco demonstrou neste supremo e dramático momento de ser bom pastor “pronto a dar a vida pelas suas ovelhas” (Jo 10,11) e o expressou no oferecimento, conscientemente e livremente, da vida que, aparentemente lhe era tirada injustamente. Como Jesus. “ Eu ofereço a minha vida e depois a retomo. Ninguém me tira a vida; sou eu que a ofereço de boa vontade” (Jo 10,17-18). Para Dom Francisco, “cordeiro imolado conduzido ao matadouro”, a conformação a Cristo, vítima e senhor da morte, alcança o seu apogeu naquela saudação, antes de subir no comboio dos invalidentrasport: Para Deus, pela Igreja e pela Pátria”.

Dom. Wladislaw Sarnik,
companheiro de prisão de Dom Francisco, o recorda como “homem entusiasta, sacerdote bom, homem de muita piedade, amigo cortês, sereno, humilde (mas na humildade escondia a sua grandeza), homem que não se lamentava nunca, que na humilhação se comportava como herói e que nunca se expressou negativamente a respeito dos perseguidores”. “É um verdadeiro mártir” comentou o arcebispo Dom Bronislaw Dabrowski . È um dever recordar. Os santos edificam a Igreja e a sociedade mais do que qualquer outra coisa.

Para mais notícias:

Beato FRANCISCO DRZEWIECKI: homilia do Card. José Saraiva Martins

Os 108 mártires poloneses

PELOSO F. – BOROWIEC J., Francesco Drzewiecki. N. 22666: un prete nel lager , (II ed.), Borla, Roma, 1999.


Lascia un commento
Code Image - Please contact webmaster if you have problems seeing this image code  Refresh Ricarica immagine

Salva il commento