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LA DIVINA PROVVIDENZA NEL CARISMA DI DON LUIGI ORIONE E DEGLI ALTRI SANTI (Italiano)
OPATRZNOŚĆ BOŻA A CHARYZMAT ZGROMADZEŃ (Po polsku)
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Autore: Flavio Peloso

LA DIVINA PROVVIDENZA NEL CARISMA DI DON LUIGI ORIONE E DEGLI ALTRI SANTI (Italiano)
OPATRZNOŚĆ BOŻA A CHARYZMAT ZGROMADZEŃ (Po polsku)


LA DIVINA PROVVIDENZA
NEL CARISMA DI DON LUIGI ORIONE E DEGLI ALTRI SANTI


L’esperienza della Divina Provvidenza ha accompagnato tutta la storia della Chiesa
e alcuni santi ne furono araldi e interpreti.
Molte Congregazioni sorsero con il titolo e lo spirito della Divina Provvidenza.
Le caratteristiche dell’insegnamento e dell’esperienza di Don Orione.




I CARISMI SONO UNA “PROVVIDENZA” PER LA VITA DELLA CHIESA




Che i carismi di fondazione – e le Famiglie religiose e laicali che li vivono – siano una “provvidenza” per la vita della Chiesa è detto molte volte nei documenti magisteriali. Ad esempio, in “Vita consacrata” 19, leggiamo che i religiosi sono "chiamati a svolgere compiti particolari, in rapporto alle necessità della Chiesa e del mondo, attraverso i carismi propri dei vari Istituti. La Chiesa è anche abbellita con la varietà dei doni dei suoi figli, come una sposa adornata per il suo sposo (Ap 21,2) e viene arricchita di ogni mezzo per svolgere la sua missione nel mondo".

Cos’è un carisma? E’ l'intervento dello Spirito nella vita di un Fondatore, una particolare illuminazione che ha per oggetto il mistero di Cristo, il vivere Cristo.

Tutti i Fondatori e Fondatrici intendono vivere Cristo nella sua pienezza eppure, nello stesso tempo, affermano di voler-dover seguire un cammino originale, dovuto alla comprensione del mistero di Cristo colto sotto un'angolatura particolare. In tutti i fondatori, non turbati nella loro umiltà, è sempre presente anche una forte coscienza di originalità. Don Orione, spesso, nei suoi discorsi e scritti dice: “I Francescani… i Gesuiti… i Benedettini, ecc. ma noi…”. (1)
Se da una parte i Fondatori affermano di voler vivere il Vangelo nella sua globalità (2) e aderire a Cristo nella sua totalità, dall'altra, ognuno di loro sente che per l'azione dello Spirito quella tal parola o aspetto del Vangelo acquista singolare e decisiva risonanza nella propria vita e diventa fonte di ispirazione per l'opera che è chiamato a fondare. (3)

Nella imitazione di Cristo, (ricordiamo che scopo della vita religiosa è "per seguire Cristo più da vicino") un aspetto della sua vita e del suo ministero acquista maggiore intensità, splendore, e con esso il Fondatore edifica e "forma" la propria famiglia. Egli considera quel determinato passo evangelico, quel particolare aspetto del Cristo come "sua" via di sequela di Cristo, come tratto unificante della consacrazione a Cristo e della missione nella Chiesa.
La particolare accentuazione che ogni Fondatore pone su un aspetto della persona di Cristo o del Vangelo, non è esclusivizzante ma inclusivizzante; cioè essa diventa la chiave di lettura e di esperienza di tutto il Vangelo, l'angolo di visuale (il 'fuoco' in senso ottico) per comprendere e vivere il Cristo nella sua totalità.
Lungo la storia della Chiesa, i Fondatori con le loro Famiglie religiose, condotti dallo Spirito, compiono così una esegesi vivente del mistero di Cristo e del suo Vangelo, traducendolo in "indole, spirito, finalità, disciplina, storia e vita dell'Istituto". (4)
Orbene. molti santi e fondatori sono stati “concentrati”, resi dallo Spirito “iper-sensibili” a quella pagina evangelica di Matteo 6, 25-34 (Mt 10, 29-32 e altre) in cui Gesù parla dell’abbandono fiducioso alla Divina Provvidenza, del riconoscimento della sua signoria nel creato e nella storia.

Si parla di santi della Divina Provvidenza e di carismi della Divina Provvidenza, di congregazioni titolate alla Divina Provvidenza. (5) Significa che quel santo, quella congregazione sono improntati da quel particolare della vita di Cristo, che è anche tutto il Cristo: il suo essere servo obbediente, strumento docile nel “fare la volontà del Padre” perché si compia il suo disegno di salvezza:“Per la vostra vita non affannatevi… Guardate gli uccelli del cielo… osservate i gigli del campo… Il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Da lì, da quel particolare di Cristo e del suo Vangelo, misurano e rispondono ai fatti e alle situazioni della vita della Chiesa e del mondo.
Numerosi Fondatori hanno percepito la carenza di questo atteggiamento cristiano – la visione e l’esperienza della Divina Provvidenza - che essi, invece, avvertivano in modo vibrante, vivissimo, per il dono dello Spirito... Risposero alle diverse situazioni storiche testimoniando che “il Padre ha cura di noi”.


I SANTI ARALDI DELLA DIVINA PROVVIDENZA



Nel corso della storia della Chiesa, molti santi e carismi di fondazione hanno avuto per contenuto l’esperienza evangelica della “Divina Provvidenza”.

1. Nei primi tempi, epoca dei martiri

La testimonianza della Scrittura (6) e l’esperienza delle prime comunità cristiane trasmettono una convinzione: la sollecitudine della Divina Provvidenza è concreta e immediata; essa tutto ha presente, di tutto si prende cura, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti. Su queste basi si radica anche il forte senso di fraternità vissuto tra i cristiani, e verso tutti, che tanto impressionò e convertì il mondo pagano. La Didaché fonda i doveri di giustizia e di carità proprio sulla comune paternità divina: “Dà a chi chiede e non esigere restituzione perché il Padre che è nei cieli vuole che i suoi beni vengano dati a tutti”. (7)
Nei primi tempi della Chiesa, l’esperienza della provvidenza di Dio ha tinte fortemente escatologiche. I martiri credono e rendono credibile la più grande manifestazione della Divina Provvidenza: la vita eterna e beata. Sant’Agostino di fronte ai martiri dice: “In essi, l’amore alla dolce vita è stato vinto dall’amore ad una Vita ancora più dolce”.


2. Nel medio-evo, costruzione della società cristiana

In Oriente, la gnosi della provvidenza scopre come tutte le cose siano previste ed ordinate da Dio secondo un suo disegno di salvezza.
In Occidente, Agostino (354-430) tenta una lettura unitaria di tutta la storia e la realtà, “confessando” che tutto alla fine, nel piano di Dio, è un bene misterioso.
Nell’epoca della crescita della “societas christiana” diventano popolari in particolare quei santi e sante che sono vicini alla gente umile e povera: vescovi, re, regine e principi, asceti e santi taumaturghi che, come Gesù, curano le necessità anche terrene degli uomini che non hanno altre risorse.
La filosofia scolastica apre alla comprensione della Divina Provvidenza come signorìa di Dio che presiede la creazione e tutto governa, facendo concorrere ad un piano unitario armonico tutte le cose.


3. San Francesco di Assisi

Le varie vite di Francesco (1182-1226) raccontano con stupore molti episodi in cui la provvidenza di Dio è stata toccata con mano dai suoi contemporanei, una provvidenza abbastanza clamorosa.
Francesco e i suoi frati vivono da ospiti di Dio nel mezzo della natura. Questa esperienza-visione della vita contesta le tentazioni della bramosìa, del possesso, dell’arrivismo, dell’egoismo di cui la borghesia di quel tempo e di ogni tempo soffriva. Il santo di Assisi è uno dei grandi cristiani che hanno preso sul serio l’invito di Gesù a cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia e ad accogliere come un dono il resto. Egli ha creduto profondamente al Dio che non abbandona i suoi figli; anzi, ha cura di loro. Francesco quando prega chiede “Il nostro pane quotidiano: cioè il tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo”. (8)


4. Santa Caterina da Siena

Santa Caterina da Siena (1347-1380) scrive il Dialogo sulla Divina Provvidenza. (9) Il suo pensiero è situato sulle vette della contemplazione, dettato da un rapporto amoroso e vivo con Dio. “Potevo io dare ad ognuno tutto? – chiede a Dio – Sì, veramente; ma volli con provvidenza che l’uno si umiliasse all’altro, e fossero ambedue costretti ad usare insieme l’atto e l’affetto della carità”. L’argomento non è nuovo né privo di un suo fascino: la carità unisce la causa prima (Dio) e le cause seconde (gli uomini) nell’unico disegno della Divina Provvidenza.


5. San Gaetano da Tiene

In tempi di crisi, in cui il “destino” sembra affermarsi anche nel mondo cristiano, in tempi in cui, a Padova, il Pomponazzi sostiene che tra libero arbitrio e provvidenza divina c’è conflitto, dallo stesso veneto, a Vicenza, viene un santo (1480-1547) che mostra nella concretezza della sua vita la Provvidenza. “Gaetano della Provvidenza” , (10) così è chiamato dalla gente.
San Gaetano sviluppò molte iniziative di carità che egli percepiva non solo nelle sue implicazioni religiose, ma anche in quelle sociali. La Divina Provvidenza con lui è diventata motivo popolare: non contemplazione dei mistici, non esperienza privilegiata di santi (o di pochi che incontrano i santi), ma fede comune, che ispira preghiera, gesti, atteggiamenti.


6. San Vincenzo de’ Paoli

San Vincenzo de’ Paoli (1581-1660) (11) è simbolo della Provvidenza. In una Francia piena di sofferenze e povertà, egli suscita un movimento di donne e di uomini che si pongono a servizio degli ultimi. Egli non affida tutto solo a Dio e ai volontari. Interviene anche sul piano politico e sociale per provocare attenzione e risposte anche civili ai grandi problemi dei poveri. Insieme però è attento a non precedere con l’iniziativa umana i piani di Dio. La sua creatività prodigiosa nel bene cerca dei segni: “seguire passo passo la provvidenza e mai prevenirla” .
Al vertice dell’esperienza cristiana San Vincenzo de’ Paoli colloca l’adempimento della Volontà divina con santa indifferenza. Questa indifferenza, però, non è apatia o quietismo. Anzi. Il cristiano fiducioso della Provvidenza – e quindi indifferente, cioè disponibile – diventa “uomo in agguato”, in quanto nell’amore concentra le sue forze per l’azione. (Don Orione diceva: “sto a vedere che carta mi gioca il Signore” ).


7. San Giuseppe Benedetto Cottolengo

E’ chiamato il “santo della Divina Provvidenza” (1786-1842). (12) Ha costruito un vero e proprio “paese della provvidenza”. Lui l’ha chiamato “Piccola Casa”, e ci teneva a dire che era della “Divina Provvidenza”.
Egli non chiede mai la provvidenza. Non fa mai pregare per ottenere qualcosa da essa. Essa è la padrona di casa, quindi è la prima interessata a far andar bene le cose. Non condanna chi prega per chiedere qualcosa di preciso a Dio, ma quella non è la sua strada: lui prega solo per il Regno di Dio e la sua giustizia. La preghiera è “il primo lavoro della Piccola Casa”.
Coinvolte nella sua opera, fondata “solo” sulla Divina Provvidenza, non sono solamente i religiosi, le suore e i volontari, non solo altre persone che hanno soldi e voglia di aiutare, ma coinvolge anche i poveri e gli ospiti stessi, che spesso devono accontentarsi di “quello che la Provvidenza manda”. La Divina Provvidenza non è il miracolo eccezionale sulle teste delle persone, ma il miracolo di un coinvolgimento sofferto, umano.


8. I santi “della carità sociale”: Don Guanella, Don Calabria, Madre Teresa Michel, Madre Teresa di Calcutta e le Congregazioni titolate alla “Divina Provvidenza”

Un grande numero di Congregazioni sorgono tra il XIX e il XX secolo – e spesso titolate alla Divina Provvidenza – e costituiscono tutto un movimento di carità all’insegna della Provvidenza Divina. In varie nazioni, e non solo più in Europa, nascono congregazioni caritative ed assistenziali caratterizzate da un notevole coraggio apostolico. Nel Dizionario degli Istituti di Perfezione ne ho contate una sessantina.
Sono in grandissima maggioranza femminili (la “Divina Provvidenza” ha maggiore sintonia con l’archetipo femminile). Sociologicamente rispondono a tre tipi di provocazione: 1) come risposta al bisogno dei poveri, 2) come risposta al ”quietismo” (svalutazione della collaborazione umana) e al “giansenismo” (sopravvalutazione della collaborazione umana), tipiche del cristianesimo di influenza protestante; 3) come risposta alle illusioni imperanti dell’illuminismo, della “salvezza” del progresso tecnologico e delle ideologie che squalificavano come “irrazionale”, come “antimoderna” e come “oppio” – e dunque fondamentalmente anche come poco “umana” - l’esperienza religiosa.

Un richiamo a quattro fondatori emblematici: due uomini e due donne.

Don Luigi Guanella (1842-1912): (13) il suo carisma è incentrato nella esperienza della Provvidenza: “Principio ispiratore, quasi anima che vivifica la nostra vocazione, è la certezza che Dio ci è Padre generoso”.
“Noi non dobbiamo misurare troppo fino, perché allora la Provvidenza divina cederebbe tutto il posto alla previdenza e provvidenza umana”.

Don Giovanni Calabria (1873-1954) (14) ha un concetto concreto della Provvidenza che valorizza l’intraprendenza personale: “La prima provvidenza – egli dice - è la testa sul collo; anche agli uccelli il Signore ha dato gli occhi e il becco!”. Vede, però, il pericolo dell’attivismo e dell’efficientismo anche nelle opere di carità, e avverte : “Guarda che i mezzi, i troppi mezzi saranno la tentazione più pericolosa”.

Madre Teresa Michel Grillo (15) rispose ai problemi sociali dell’Italia di inizio ‘900 e fondò le Piccole Suore della Divina Provvidenza; da queste, negli anni ’30, si formò la congregazione autonoma delle Francescane Figlie della Divina Provvidenza nell’arcidiocesi di S. Paulo. La beata Teresa Michel ebbe in Don Orione il suo consigliere e guida spirituale e con lui condivise la fiducia nella Divina Provvidenza ed una grande intraprendenza apostolica.

Madre Teresa di Calcutta (1910-1997). (16) “L’obiettivo della nostra congregazione è mostrare ai poveri l’amore e la compassione di Dio verso di loro, dimostrare che Dio amò il mondo e ama anche loro”. Nonostante i mezzi di comunicazione abbiano tentato di farne un personaggio solamente “umanitario”, pochi come Madre Teresa hanno proclamato con estrema semplicità e franchezza che la ragione della sua opera stava in Dio e nella sua Provvidenza da rendere vicina ai poveri più poveri. “Non siamo semplici assistenti sociali, ma ‘missionarie’. Cerchiamo, infatti, di evangelizzare esclusivamente per mezzo del nostro lavoro, lasciando che Dio si manifesti in esso”.


DON ORIONE, “FIGLIO DELLA DIVINA PROVVIDENZA”



Approfondiamo ora alcune caratteristiche dell’esperienza della Divina Provvidenza vissuta e trasmessa da Don Orione. (17)
Don Orione è erede di una grande tradizione di “santi della Divina Provvidenza” (18) che egli stesso, apertamente, riconosce come ispiratori e protettori. Sono quelli dei quali abbiamo ricordato qualcosa sopra: San Francesco, Santa Caterina da Siena, San Gaetano da Thiene, San Vincenzo de’ Paoli, San Giuseppe Benedetto Cottolengo, fino ai contemporanei Don Luigi Guanella che gli fu amico, Don Giovanni Calabria che stimò ed aiutò, Madre Teresa Michel della quale fu guida spirituale. Molto ebbe in comune con tutti loro. C’è una discendenza e una parentela spirituale ben riconoscibile. Ma si può dire che la “Divina Provvidenza” è il carisma di Don Orione? Per gli Orionini - religiosi, suore e secolari - che fanno un IV voto di specificazione carismatica di “speciale fedeltà al Papa” mediante le opere della “carità” , come si colloca la fondamentale fiducia nella Divina Provvidenza che dà spirito e nome alla Piccola Opera della Divina Provvidenza?


1. Il “Piano e programma della Piccola Opera della Divina Provvidenza”

Una sicura via di risposta viene da Don Orione stesso, il quale proprio questo dovette e volle spiegare al suo Vescovo, Mons. Bandi, scrivendo “I sommi principi dell’Opera della Divina Provvidenza” (11.2.1903). (19)
Nei “Sommi principi”, Don Orione descrive l’opera della Divina Provvidenza con una ampia visione teologica e pratica (il “disegno del Padre” di Ef. 1, 1-10) entro la quale poi egli colloca il carisma proprio e specifico della “Piccola” Opera della Divina Provvidenza.

La visione della storia della salvezza è presentata a tre circoli concentrici:
1. “L’opera della Divina Provvidenza” (Padre)
2. “…consiste nell’Instaurare omnia in Christo” (Figlio)
3. “…unendo tutta l’umanità in un corpo solo, la S. Chiesa cattolica costituita nell’unità coi Vescovi e il Papa” (Spirito Santo).

Poi Don Orione riprende i tre circoli e focalizza la sua “concentrazione carismatica” di sequela di Gesù.
“E perché Nostro Signore Gesù Cristo designò propriamente nel Beato Apostolo Pietro chi doveva farsi servo dei servi di Dio, e su Lui fondò la Sua Chiesa, e a Lui commise l’unità del governo visibile che avvicinasse sempre più gli uomini a Dio… il nostro minimo Istituto che, per bontà del Signore, sorse sotto la denominazione di Opera della Divina Provvidenza, riconoscendo nel Romano Pontefice il cardine dell’opera della Divina Provvidenza nel mondo universo… questo ha per fine suo precipuo: di «compiere, con la divina Grazia, la volontà di Dio nella volontà del Beato Pietro il Romano Pontefice, e cercare la maggiore gloria di Dio con attendere alla perfezione dei suoi membri, e impiegarsi, con ogni opera di misericordia, a spargere e crescere nel popolo cristiano e specialmente nell’evangelizzare i poveri, i piccoli e gli afflitti da ogni male e dolore un amore dolcissimo al Vicario in terra di Nostro Signore Gesù Cristo che è il Romano Pontefice, Successore del Beato Apostolo Pietro, coll’intento di concorrere a rafforzare, nell’interno della Santa Chiesa, l’unità dei figli col Padre e, nell’esterno, a ripristinare l’unità spezzata col Padre».

Gli ambiti e le modalità di impegno carismatico sono riassunte nella formula “con le opere di misericordia ravvivare, stringere e mantenere l’unità dei fedeli col Beato Pietro”, e si articolano come educazione, evangelizzazione, istituzioni per gli afflitti e il popolo...
1. ambito interno alla S. Chiesa: “educazione della gioventù, evangelizzazione degli umili…, istituzioni a favore degli afflitti dei tanti mali e dolori, del popolo...”;
2. ambito ‘ecumenico’: “piena unità delle Chiese separate…”;
3. ambito missionario-universale: “le genti e le nazioni stabiliscano un giusto ordinamento sulla terra, e vivano e prosperino in Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso: «instaurare omnia in Christo»”.

Don Orione, infine, riassume ancora il “proprium” della vocazione ( “Questo fine - unire al Papa per instaurare omnia in Christo - è proprio di nostra azione” ) e dedica 3 numeri per indicare gli impegni derivanti in relazione al Papa in quanto persona.


2. Caratteristiche ideali e pratiche

Delle “caratteristiche” dell’esperienza della Divina Provvidenza di Don Orione, (29) mi limito a segnalarne tre che mi paiono piuttosto tipiche, anche se non esclusive.

1. Una visione ecclesiale della Divina Provvidenza

Don Orione ha tradotto il fondamentale atteggiamento di fiducia nella Divina Provvidenza in idee ed azione fortemente concentrate nella passione per la Chiesa, per l'unità dei popolo cristiano, e tendenzialmente della famiglia umana, con il Papa e con i Pastori.
Nell’importante documento carismatico “I sommi principi dell’Opera della Divina Provvidenza”, Don Orione presenta molto chiaramente la interna connessione e dinamismo tra “opera della Divina Provvidenza”, che si estende sacramentalmente nella storia attraverso “la missione della Chiesa” e la “carità forza di coesione” nella Chiesa.
“L'opera della Divina Provvidenza... consiste nell'Instaurare omnia in Christo, unendo tutta l'umanità in un corpo solo, la Santa Chiesa cattolica, costituita da nostro Signore Gesù Cristo sotto la divina potestà dei Vescovi, in unione e dipendenza con la divina e suprema potestà apostolica del beato Pietro che è il Romano Pontefice. Il nostro minimo Istituto riconosce nel Romano Pontefice il cardine dell'opera della Divina Provvidenza nel mondo universo… e questo ha per fine suo precipuo… impiegarsi con ogni opera di misericordia… coll’intento di concorrere a rafforzare, nell’interno della Santa Chiesa, l’unità dei figli col Padre (il Papa) e, nell’esterno, a ripristinare l’unità spezzata col Padre”.

Dunque, le opere di misericordia sono esplicitamente finalizzate a fare sperimentare “la paternità di Dio” e – inscindibilmente – “la maternità della Chiesa” .

C’è una pagina in cui Don Orione, per così dire, scopre le carte delle sue intenzioni.
“Questi tempi, scrisse già l'Em. Card. Parrocchi, comprendono della carità soltanto il mezzo e non il fine ed il principio. Dite agli uomini di questi tempi: bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i princìpi della religione… e gli uomini non capiscono”. Mai come ai tempi nostri il popolo fu così staccato dalla Chiesa e dal Papa, ed ecco quanto è provvidenziale che questo amore sia risvegliato con tutti i mezzi possibili perché ritorni a vivere nelle anime l'amore di Gesù Cristo. (…). L'esercizio della carità raggiungerà perfettamente il suo scopo corrispondente ai bisogni dei tempi nostri, che è precisamente quello: di ricondurre la società a Dio riunendola al Papa e alla Chiesa. Quella carità pertanto che viene esercitata nella società nostra prendendo le mosse dall'amore al Papa e alla Chiesa, e mirando al raggiungimento di questo amore in tutti, è precisamente quella che meglio risponde al bisogno dei tempi. E tale è lo spirito da cui è informata l'Opera della Divina Provvidenza, tale è la sua fisionomia, il suo carattere tipico: Instaurare omnia in Christo!”. (21)

L’esercizio della carità come dinamismo di gravitazione e di comunione nella Chiesa nella sua indispensabile missione di realizzare l’opera della Divina Provvidenza di “Instaurare omnia in Christo” (Ef 1, 10).
“Noi, Figli della Divina Provvidenza, ci lasciamo reggere dalla Provvidenza, ma per mezzo della Chiesa, che Dio ci ha dato…: questo è lo Spirito e la mente della piccola Congregazione”. (22) “Nel nome della Divina Provvidenza ho aperto le braccia e il cuore a sani e ad ammalati, di ogni età, di ogni religione, di ogni nazionalità: a tutti avrei voluto dare, col pane del corpo, il divino balsamo della Fede, ma specialmente ai nostri fratelli più sofferenti e abbandonati”. (23)


2. Fiducia nella Divina Provvidenza come evangelizzazione e risposta al secolarismo

Il secolarismo attuale è frutto – mi pare - più che delle illusioni dell’uomo, soprattutto delle sue delusioni, compresa la sua delusione di un Dio pensato magicamente e infantilmente provvidente.

“In Don Orione – ha osservato in un suo discorso Giovanni Paolo II - lo zelo sacerdotale si coniugava con l'abbandono nella Provvidenza divina, cosi il segreto della sua esistenza e della sua molteplice attività riposava in una illuminata fiducia nel Signore, poiché “l'ultimo a vincere è Lui, Cristo, e Cristo vince nella carità e nella misericordia” (Lettere II, 338). Nei suoi istituti, rivive il genio della carità di Don Orione che si tradusse, come peculiare carisma, nella fiducia nella Divina Provvidenza. Gli uomini del nostro tempo, assetati di verità e di amore, hanno bisogno di incontrare testimoni". (24)

Don Orione, avvertiva il disorientamento delle masse popolari confuse e traviate da ideologie e costumi che mettevano in crisi la fede. Il concetto e l’atteggiamento di fiducia nella Divina Provvidenza era – ed è - in crisi nella mentalità moderna: "Dio non c'è... e, se c'è, è come se non ci fosse". Anche negli ambienti ecclesiali è più facile, più 'ragionevole', parlare della trascendenza di Dio; mentre c'è imbarazzo e quasi pudore ad indicare la provvidenza di Dio nei fatti e nelle persone, a parlare della sua rilevanza nell'esistenza quotidiana e nella storia. Per lui, invece, è il motivo ispiratore della sua vita e della sua Fondazione.
“Sì, Opera della Divina Provvidenza: proclamare contro il materialismo storico "Tua Providentia omnia gubernat". La Provvidenza Divina è la continua creazione delle cose". (25)

La risposta alle molteplici invocazioni della Divina Provvidenza, per Don Orione, non viene da una azione “onnipotente”, quasi sostitutiva di quella di Dio, ma da segni di “misericordia”, di condivisione della miseria e della debolezza dei fratelli, “stendere sempre le mani e il cuore a raccogliere pericolanti debolezze e miserie e porle sull'altare, perché in Dio diventino le forze di Dio e grandezza di Dio”. (26) Don Orione, inequivocabilmente, pone come via di evangelizzazione la “la carità che apre gli occhi della fede e muove i cuori verso Dio”. (27) Chiama le sue suore Piccole Suore Missionarie della carità.

“La Divina Provvidenza pare nascosta all'uomo, perché l'uomo la vede e molte volte non l'ama, la tocca e molte volte non la crede; essa lo veste meglio che i gigli del campo e gli dà da mangiare, ed egli crede di essere nudo e digiuno. Essa governa il mondo con legge armonica ed eterna, si nasconde e non si fa vedere a colui cui manca la fede, quantunque egli sia ricco di mezzi materiali e di vasta mente e di molta cultura. Perciò i potenti e i ricchi e i veri sapienti sulla terra sono quelli che amano Dio, credono in Dio, sperano in Dio e nelle opere delle sue mani lo vedono e lo toccano e lo sentono financo in se stessi che dice: "state quieti, sono con voi: Nolite timere, ego sum!". Essi vivono nella Provvidenza, muoiono nella Provvidenza. Sono semplici, e la vita loro è stimata pazzia dal mondo, ma essi sono i sapienti del Signore!”. (28)


3. Una visione “sociale” ed escatologica della Divina Provvidenza

Il senso sociale e storico della fede e della Chiesa, e dunque dell’apostolato, fu assai forte in Don Orione. Vede i poveri come singoli, ma anche come classe sociale, come categorie di persone e popoli interi. Sappiamo che una obiezione contro la "Divina Provvidenza" sono gli scenari di miseria e di morte del mondo tanto caotico e ingiusto; sono i tanti trionfi del male; sono i segni sempre più disumani e disperati della società "senza Dio". Molti, come il pio ebreo oppresso dell’antico testamento o come i deportati ad Auschwitz o gli oppressi di nuove schiavitù colonialistiche, o le tante vittime innocenti del male altrui… pregano e gridano: “Dio dov’è?”.

In questo inizio di III millennio, tutti sentiamo l’urgenza di avere e di dare alla gente il pane e ancor più la speranza e la fiducia che “Dio ha cura di noi”. E questo non per il sollievo passeggero e blasfemo di un po’ di “oppio” per dimenticare, ma per la necessità di speranza, di certezza di futuro che sola permette di resistere, di lottare, di mettere in moto le energie per costruire un mondo migliore.
Scrive Don Orione:
“I popoli sono stanchi, sono disillusi; sentono che tutta è vana, tutta è vuota la vita senza Dio. Siamo noi all'alba d'una grande rinascita cristiana? Siamo Figli della Divina Provvidenza! Non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani; la corruzione e il male morale sono grandi, è vero, ma ritengo, e fermamente credo, che l'ultimo a vincere sarà Iddio, e Dio vincerà in una infinita misericordia”. (29)

Proprio per questo, Don Orione si propone, con le opere di carità, di “far sperimentare a tutti la Provvidenza di (che è) Dio” .

Conservare e diffondere la fiducia nella Divina Provvidenza: questo è tutto. O meglio, questo viene prima di tutto.
“In quest'ora del mondo, ora tanto dolorosa e tanto triste, risolviamo di conservare inestinguibile e ognor più divampante il sacro fuoco dell'amore a Cristo e agli uomini. Senza questo sacro fuoco, che è amore e luce, che resterebbe dell'umanità? Ottenebrata l'intelligenza, il cuore fatto freddo, gelido più che il marmo di una tomba, l'umanità vivrebbe convulsa tra dolori di ogni genere senza alcun altro conforto, solo abbandonata ai tradimenti, ai vizi, e scelleraggini, senza nome... Con Cristo tutto si eleva, tutto si nobilita: famiglia, amore di patria, ingegno, arti, scienze, industrie, progresso, organizzazione sociale". (30)



CONCLUSIONE



Evidentemente, l’esperienza della Divina Provvidenza è tratto centrale, parte integrante del credo e della vita cristiana. Come tale ha percorso tutte le diverse epoche della vita della Chiesa influendo su teologia, filosofia, pastorale, pedagogia, istituzioni ecclesiastiche.

Don Orione erede di un’epoca post-illuminista e con segni evidenti di quella attuale post-moderna, accomunate dal crollo delle salvezze laiche (ideologie, scienza e tecnica, ecc. dei secoli XIX e XX), ha vissuto e trasmesso un’esperienza della Divina Provvidenza con forti accentuazioni di concreta incarnazione e di impegno sociale – come molti altri “santi sociali” suoi contemporanei – ma con la tipica concentrazione teorico-pratica sul ruolo-cardine della Chiesa nel disegno del Padre di instaurare omnia in Christo da favorire mediante le opere della carità.

E, viene da chiedersi, quali saranno le sfide della fede e della testimonianza della Divina Provvidenza nel III millennio?
La fiducia nella Divina Provvidenza, cioè la fede e la relazione con il “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”, presente e operante nella storia, con il Dio che nel Figlio suo Gesù Cristo ha pienamente realizzato e manifestato il suo amore vittorioso, non è mai stata facile. In questo inizio di III millennio, deve fare i conti con il declino generalizzato dell’atteggiamento religioso, con la svolta antropocentrica della cultura, con i miti, sempre risorgenti in nuove forme, dell’uomo autosufficiente padrone – illuso e più spesso disperato – del suo destino, con il pensiero e il carattere “debole” che faticando a capire e a volere reclinano nel presentismo e nel consumismo non solo materialistico, ma anche culturale, etico e religioso.

Il III millennio, mi pare di vedere, convoca tutti – pensatori, politici, economisti, educatori, religiosi, poveri, ricchi… proprio tutti - attorno al tavolo della grande inferma: la speranza. E attorno a questo tavolo, dove ci saranno molti più silenzi che parole, i santi, forse, saranno quelli che avranno ancora il coraggio di dire qualcosa. Loro, i santi, si sono sempre rivelati come i più concreti esegeti e banditori della Divina Provvidenza e dei suoi cammini perché hanno sperimentato, per dono e per ricerca, la Presenza di Colui che, passato per morte e resurrezione, ha assicurato: “Coraggio, io ho vinto il mondo. Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Proprio a partire da questa Presenza, i santi e la Chiesa santa, sono diventati uomini di speranza, rinnovatori di cultura, incisivi riformatori della società, costruttori di pace. Non sarà così anche nel III millennio?



NOTE

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1. Altre volte, espresse l’originalità ispirativa in questi termini: “Non era necessario, non era ragionevole che la Congregazione nascesse, se non fa qualcosa di nuovo e di bello" (Parola (12.2.1938) X, 189-190). E ancora: "Sarebbe inutile una Congregazione nuova se non riportasse nel mondo una forza e una lena spirituale più grande e più vasta” (Parola X, 189-190).

2. La Regola bollata di San Francesco inizia così: “La Regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo vangelo del Signore nostro Gesù Cristo”. Similmente Don Orione scrive: “Nostra prima regola e vita sia di osservare in umiltà grande e amore dolcissimo il santo vangelo” (Lettere II, 277-283); un giorno, egli si presentò alla riunione dei confratelli che sollecitavano un testo delle Costituzioni con un pacco di vangeli ed esclamò: "Ecco la nostra regola"! Don Giacomo Alberione dichiara che la sua Famiglia Paolina “aspira a vivere integralmente il santo Vangelo” (Storia carismatica della famiglia Paolina, Roma, 1977, n.93).

3. Cfr. il capitolo I carismi come vangelo vissuto lungo la storia in F. Ciardi, In ascolto dello Spirito. Ermeneutica del carisma dei Fondatori, Città nuova, Roma, 1996.

4. Canone 652.

5. Cfr. i miei articoli in “Vita consacrata” 36(2000) Santi, sante e carismi della divina provvidenza, n.3, p.267-282 e I santi della “carità sociale” e le congregazioni titolate alla “divina provvidenza” n.4, p.392-404.

6. Forse è una sorpresa venire a sapere che la parola “provvidenza” (in greco, “pronoia”) è quasi assente nel vocabolario biblico e, quando nel Nuovo Testamento viene usata, ha un assunto non religioso. Evidentemente tutta la rivelazione biblica è intessuta dei contenuti di questo termine, ma la parola “provvidenza” fu adottata solo successivamente dalla filosofia greca, in epoca patristica, purificata ed integrata nella visione storico-salvifica cristiana. A questo termine astratto, nel linguaggio biblico sono preferiti quelli più concreti di “piano di Dio”, “disegno del Padre”, “storia della salvezza”.

7. Didaché (SC) 248,81.

8. Sempre nel commento al “Pater noster” sopra citato.

9. Il dialogo della Divina Provvidenza, ovvero Libro della Divina Dottrina, a cura di G. Cavallini, Siena, 1995; Il dialogo della Divina Provvidenza, a cura di Maria Adelaide Raschini, III ed., ESD, Bologna, 1991; A. Scarciglia, Santa Caterina dialoga con Dio Padre, Ed. Cantagalli, Siena, 1999.

10. Le Lettere di San Gaetano da Thiene, a cura di F. Andreu, Ed. Biblioteca Apostolica Vaticana, 1954; P. Paschini, San Gaetano Thiene cuore della riforma cattolica, Vicenza, 1948; E. Zuccatello, San Gaetano Thiene e gli inizi della Riforma cattolica, Istituto di Propaganda Libraria, Milano, 1941.

11. J.M. Roman, San Vincenzo de Paoli. Biografia, Milano, 1986. A. Dodin, Initiation a San Vincent de Paul, Paris 1993; L. Mezzadri, La sete e la sorgente (2vv), Roma, 1993; M. Stork, Vincenzo de’ Paoli, Cittadella, Assisi, 1987; A.M. Sicari, Santi nella carità. Figli, discepoli, amici di Vincenzo de’ Paoli, Ed. Vincenziane - Jaca Book, Milano, 1999 (tra gli “amici” è annoverato anche Don Orione).

12. P.P. Gastaldi, I prodigi della carità cristiana descritti nella vita di San Giuseppe Benedetto Cottolengo (2 voll.), Torino, 1959 (è la prima e più famosa biografia); G. Barra, Quando l’amore si fa pane, Torino, 1974; L. Piano San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Cenni biografici, Torino, 1977.

13. Lapucci Carlo, Luigi Guanella, II ed., LEF, Firenze, 1986; L. Guanella, Le vie della Provvidenza. Memorie autobiografiche, Nuove Frontiere, Roma, 1988; V. Lucarelli, Don Guanella, un contemporaneo affascinante, Ed. Paoline, Cinisello B., 1991.

14. G. Pesenti, Don Giovanni Calabria. Vangelo vivente, Poveri Servi della Divina Provvidenza, Verona, 1994; R. Lodetti, I fioretti di Don Calabria, Dehoniane, Roma, 1994; D. Gandini – O. Foffano, Per la speranza degli uomini, Marietti, Genova, 1999.

15. A. Gemma, La Madre. Profilo biografico della beata Teresa Grillo Michel, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1998; R. Lanzavecchia, Teresa Grillo Michel, La figura, le opere, Rusconi, Milano, 1991; C. Torriani, La Signora Madre... Madre Teresa Grillo Michel, Tip. Viscardi, Alessandria, 1988.

16. Per conoscere Madre Teresa: M. Muggeridge, Qualcosa di bello per Dio, San Paolo, Cinisello B., 1990 è il libro-intervista che per primo ha reso popolare nel mondo Madre Teresa; N. Chawla, Madre Teresa, Rizzoli, Milano, 1993; E. e K. Egan, Madre Teresa, Paoline, Milano, 1996; J. Playfoot – J.L. Gonzalez Balado, La vita di Madre Teresa di Calcutta, Rusconi, Milano, 1997; M. Bertini, Sulle strade di Madre Teresa, Paoline, Milano, 1999.

17. Rinvio per l’approfondimento ad alcune pagine di Nel nome della Divina Provvidenza. Le più belle pagine (3° ed.), Ed. Piemme, Casale M., 1997; al capitolo “Divina Provvidenza”, p.32-38 di Flavio Peloso, Don Orione. Intervista verità, San Paolo, Cinisello B., 1997; a “Fiducia nella Divina Provvidenza, p. 45-55 in AA.VV. Sui passi di Don Orione. Sussidio per la formazione al carisma, Dehoniane, Bologna, 1997.

18. Cfr. i succitati articoli in “Vita consacrata”.

19. Lettere I, 11-22; si tratta di un testo fondamentale per la storia e l’identità carismatica della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Fu a lungo pensato ed elaborato da Don Orione e presentato a S.E. Mons. I. Bandi per il riconoscimento giuridico della nascente congregazione, avvenuto con Decreto del 21.3.1903. Cfr. Antonio Lanza, Le Costituzioni della Piccola Opera della Divina Provvidenza, “Messaggi di Don Orione” 23(1991) n.76.

20. Sul tema della “Divina Provvidenza”, tra gli scritti di Don Orione, segnalo come più significativi “I sommi principi dell’Opera della Divina Provvidenza” dell’11.2.1903, una lettera-programma indirizzata al suo Vescovo, Mons. I. Bandi (Lettere I, 11-18), e poi il testo della conferenza tenuta da Don Orione nell’Aula magna dell’Università Cattolica di Milano, nel 1939, sul tema manzoniano “La c’è la Provvidenza” (Scritti 83, 98-108); numerosi scritti di Don Orione sulla fede e la fiducia nella Divina Provvidenza sono raccolti nel vol.6 de Lo spirito di Don Orione, Roma, 1992, p.7-66; una breve e sostanziosa sintesi sul tema si trova in Sui passi di Don Orione, p.45-55.

21. La lettera è del 13.4.1920; in Don Orione. Intervista verità, o.c., p.58.

22. Lettere I, 94.

23. Lettere II, 462.

24. Riportato in Sui passi di Don Orione, p.33.

25. Scritti 68, 418.

26. Nel nome della Divina Provvidenza, p.82.

27. Scritti 4, 280.

28. Domenico Sparpaglione (a cura di), Sacerdote Luigi Orione. Lettere scelte, Paravia, Torino 1947, p.20-21.

29. Lettere II, 216 e 369.

30. Scritti 53, 9 e 57, 222.




OPATRZNOŚĆ BOŻA A CHARYZMAT ZGROMADZEŃ




Referat wygłoszony przez ks. Flavio Peloso FDP, Prokuratora generalnego Księży Orionistów, na Międzynarodowym Kongresie o Opatrzności Bożej w São Paulo, w dniu 30.10.1999

I. Charyzmat jest “opatrznością” Boga dla życia Kościoła.
1. Pojecie i dynamika charyzmatów zgromadzeń.
2. Wierność charyzmatowi zgromadzenia.

II. Święci i charyzmaty “Bożej Opatrzności” w ciągu historii Kościoła
1. W pierwszych wiekach, epoce męczenników
2. W średniowieczu, tworzenie się społeczności chrześcijańskiej
3. Św. Franciszek z Asyżu.
4. Św. Katarzyna z Sieny.
5. Św. Kajetan z Thiene.
6. Św. Wincenty z Paoli.
7. Św. Józef Benedykt Kottolengo.
8. Święci “miłości społecznej”: Ks. Guanella, ks. Calabria, Matka Teresa Michel, Matka Teresa z Kalkuty i Zgromadzenia pw. Opatrzności Bożej.

III. Ks. Orione i Opatrzność Boża
1. “Program Małego Dzieła Opatrzności Bożej”.
2. Charakterystyka ideałów i praktyczne doświadczenie “Opatrzności Bożej”.
2.1. Wiara w Opatrzność Bożą jako ewangelizacja i odpowiedź na sekularyzm.
2.2. Wizja “społeczno-eschatologiczna” Bożej Opatrzności.
2.3. Wizja eklezjalna Opatrzności Bożej.

***


I. CHARYZMAT JEST “OPATRZNOŚCIĄ” BOGA DLA ŻYCIA KOŚCIOŁA.

1. Pojecie i dynamika charyzmatów zgromadzeń.
Interwencja Ducha Świętego w życiu jakiegoś Założyciela objawia się jako szczególne oświecenie, które ma za przedmiot tajemnicę Chrystusa, żyć Chrystusem. Długa historia Kościoła, Założycieli z ich Rodzinami zakonnymi, prowadzonymi przez Ducha Świętego, wypełniają w ten sposób żywą interpretację tajemnicy Chrystusa i Jego Ewangelii, zaznajamiając się z “charakterem i duchem, celem i karnością, historią i życiem własnego instytutu” (Kan. 652).
Duch Święty działa we wnętrzu człowieka, wyciska swoje znamię na Założycielu, jeden z rysów posłannictwa Chrystusa, prowadząc do przeżywania tak określonej wartości ewangelicznej, która staje się nad-wrażliwością. Wielu świętych, wielu założycieli zostało “wywyższonych”, “skoncentrowanych”, “zainspirowanych” przez Ducha Świętego stronicami z Ewangelii wg św. Mateusza 6, 25-34 (Mt 10, 29-32 i wiele innych), gdzie Jezus mówi o ufnym powierzeniu się Opatrzności Ojca, o wdzięczności za Jego wielmożność w dziele stworzenia, w historii, w życiu osobistym.
Mówi się o świętych od Opatrzności Bożej i o charyzmacie Opatrzności Bożej, o zgromadzeniach pw. Opatrzności Bożej... ponieważ są wezwane do szerzenia poprzez dobry przykład w Kościele - Mistycznym Ciele Chrystusa - tak określonej wartości ewangelicznej – wizji i doświadczenia Opatrzności Bożej – otrzymanej jako charyzmat od Ducha Świętego. Charyzmat zgromadzenia jest opatrznościowym, eklezjalnym środkiem wzmacniającym”.


2. Wierność charyzmatowi zgromadzenia.

Wierność charyzmatowi zgromadzenia jest zadaniem o ogromnej wadze dla każdej Rodziny zakonnej. Charyzmat jest racją, dzięki której istnieje Zgromadzenie jako takie (“dlaczego”); i jest drogą do świętości i bycia apostołami w Kościele (“jak”).
Kościołowi nic nie brakuje do istnienia i funkcjonowania; Chrystus przez Ducha Świętego obdarzył go wszelkimi dobrami i najistotniejszymi środkami, aby rozwijać swoją misje w świecie. Ale historia nam potwierdza, ze Opatrzność Boża wznieca dary, charyzmaty i przysługi, które na przestrzeni czasów, okazują się bardzo cenne (“opatrznościowe”) dla świętości i misji Kościoła, dla jego dobra.
“Charyzmat” jest dany Założycielowi i Rodzinie zakonnej, ale jest dany przez Kościół i dla Kościoła: “Jest dla Kościoła korzyścią, że Instytuty maja swoją własną fizjonomię i sobie właściwą funkcję. Przeto wiernie same odczytują i przestrzegają ducha i cel Założyciela, jako czystą, zdrową tradycję...” (PC 2, Cfr. VC 25).


II. ŚWIĘCI I CHARYZMATY “OPATRZNOŚCI BOŻEJ”

W ciągu historii Kościoła wielu świętych i charyzmatów zgromadzeń otrzymało poprzez treści ewangeliczne doświadczenie “Opatrzności Bożej”.

1. W pierwszych wiekach, epoce męczenników.
W pierwszych wiekach Kościoła doświadczenie Opatrzności Boga ubarwiło mocno eschatologie. Męczennik wierzy i bierze pod uwagę największe objawienie się boskiej Opatrzności: w życiu wiecznym i błogosławionym. Św. Augustyn odnośnie męczenników mówi: “W nich miłość do słodkiego życia została zwyciężona przez miłość do Życia jeszcze bardziej słodkiego”.

2. W średniowieczu, tworzenie społeczności chrześcijańskiej.
Na Wschodzie, gnoza opatrznościowa ukazuje, jakoby wszystkie rzeczy były widziane i uporządkowane przez Boga według Jego obrazu zbawienia.
W epoce powstawania “społeczności chrześcijańskiej” stają się powszechni szczególnie ci święci i święte, którzy są bliscy ludziom maluczkim i biednym: byli nimi biskupi, królowie, królowe i książęta, asceci i święci, którzy, jak Jezus, troszczyli się także o potrzeby ziemskie ludzi, którzy nie maja żadnych środków do życia.
Filozofia scholastyczna pomaga w zrozumieniu Opatrzności Bożej jako możnowładztwa Boga, który przewodniczy stworzeniu i wszystkim rządzi, przyczyniając się, na zasadzie jedności, do harmonii wszystkich rzeczy.

3. Św. Franciszek z Asyżu.
Różne życiorysy św. Franciszka (1182-1226) opowiadają z podziwem o wielu wydarzeniach, w których Opatrzność Boża była ówczesnym dotknięciem ręki Boga, opatrznością dosyć hałaśliwą.
Franciszek i jego bracia żyli jak goście Pana Boga pośród przyrody. To doświadczenie –wizja życia zaprzecza pokusie pożądania, posiadania, robienia kariery, egoizmowi, na co mieszczaństwo w tamtych czasach i w każdym czasie cierpiało i cierpi.
Święty z Asyżu jest jednym z wielkich chrześcijan, którzy wzięli na poważnie zaproszenie Jezusa do szukania najpierw Królestwa Bożego i jego sprawiedliwości, i przyjęcia wszystkiego innego jako daru. On uwierzył głęboko Bogu, który nie opuszcza swoich synów, co więcej, Bogu, który troszczy się o nich.


4. Św. Katarzyna ze Sieny.
Św. Katarzyna ze Sieny (1347-1380) pisze “Dialog o Opatrzności Bożej”. Jej myśl znajduje się na szczycie kontemplacji, dyktowanej miłosną i żywą relacją z Bogiem. “Czy mogłem dać każdemu wszystko? – pyta Bóg – Tak, naprawdę mógłbym, ale chciałem z opatrzności, aby jeden upodobnił się do drugiego, i byli obydwaj zmuszeni używać razem gestu i czułości miłosiernej.”
Temat nie jest nowy, ani pozbawiony swojego uroku: miłość jednoczy przyczynę pierwsza (Boga) z przyczyna druga (ludźmi) w jeden obraz Opatrzności Bożej.

5. Św. Kajetan z Thieny.
W czasach kryzysu, w których “przeznaczenie” wydaje się być aprobowane także w świecie chrześcijańskim, w czasach, w których w Padwie Pomponazzi podtrzymuje, że pomiędzy wolną wolą a Opatrznością jest sprzeczność, z Winczenzy (Vincenza) pochodzi święty (1480-1547), który “konkretnie” przedstawia Opatrzność swoim życiem. “Kajetan od Opatrzności Bożej” – tak go nazywali ludzie. Św. Kajetan zainicjował wiele dzieł miłosierdzia, które postrzegał nie tylko jako swoje implikacje zakonne, ale także te implikacje socjalne. Opatrzność Boża wraz z nim stała się popularna: nie kontemplacja mistyków, nie doświadczeniem uprzywilejowanym tylko dla świętych (lub dla niewielu, którzy przebywają ze świętymi), ale wiara ogólna, która inspiruje modlitwę, gesty, postawy.

6. Św. Wincenty z Paoli.
Św. Wincenty z Paoli (1581-1660) jest symbolem Opatrzności Bożej. We Francji pełnej boleści i ubóstwa, pobudza ruch kobiet i mężczyzn, którzy zajęli się służbą najbardziej poniżanym. Nie polega tylko na Bogu i woluntariuszach. Interweniuje też na płaszczyźnie politycznej i socjalnej, aby zwrócić uwagę i sprowokować do dania odpowiedzi także cywilom na ogromne problemy ubogich. Jednakże baczy, aby nie poprzedzać inicjatywą ludzką planów Boga. Jego nadzwyczajna twórczość szuka w dobru znaków: iść krok w krok z opatrznością i nigdy jej nie poprzedzać”.
U szczytu chrześcijańskiego doświadczenia św. Wincenty umieszcza wypełnienie woli Bożej z świętą obojętnością. Ta obojętność, jednak nie jest jakąś apatią lub kwietyzmem. Przeciwnie, chrześcijanin ufa Opatrzności – a więc obojętny, tzn. dyspozycyjny – staje się “człowiekiem w zasadzce”, o ile w miłości koncentruje swoje siły do działania (ks. Orione mawiał: “przyglądam się jaka kartą zagra mi Pan”).

7. Św. Józef Benedykt Cottolengo
Jest nazywany “świętym od Opatrzności Bożej”(1786-1842). Zbudował prawdziwą i własną “wioskę opatrznościową”. Nazwał ją “Małym Domem” i utrzymywał, że to było z “Bożej Opatrzności”.
On nigdy nie prosił Opatrzności. Nie modlił się, aby coś otrzymać od niej. Ona jest gospodarzem domu, a wiec jest najbardziej zainteresowana tym, aby wszystko szło dobrze. Nie potępią tego, kto modli się, aby poprosić o coś konkretnego Pana Boga, ale to nie jest jego sposób: on modlił się tylko o Królestwo Boże i jego sprawiedliwość. Modlitwa jest “pierwsza praca Małego Domu”.
Wciągnięci w jego dzieło, oparte “jedynie” na Bożej Opatrzności, są nie tylko zakonnicy, siostry i woluntariusze, nie tylko inne osoby, które mają pieniądze i chęć pomagania innym, ale wciąga też ubogich, ich gości, którzy powinni być szczęśliwi z tego, “co zsyła Opatrzność”. Boża Opatrzność nie jest nadzwyczajnym cudem ponad głowami ludzkimi, ale jest cudem wciągnięcia w cierpienie ludzkie.

8. Święci “miłości socjalnej”: Ks. Guanella, ks. Calabria, Matka Teresa Michel, Matka Teresa z Kalkuty i zgromadzenia pw. “Bożej Opatrzności”
Wiele Zgromadzeń wyłania się pomiędzy XIX a XX w. – i często przyjmując za tytuł Opatrzność Bożą – i tworzą wszystkie razem wieki ruch miłości pod insygniami Bożej Opatrzności. Wiele narodów, nie tylko w Europie, rodzi zgromadzenia charytatywne i opiekuńcze, charakteryzujące się nie notowana odwaga apostolska. Przywołamy czterech symbolicznych Założycieli:

Ks. Alojzy Guanella (1842-1912): jego charyzmat jest skoncentrowany na doświadczeniu Opatrzności: “Głównym inspiratorem, prawie dusza, którą ożywia nasze powołanie, jest ta pewność, ze Bóg jest dla nas hojnym Ojcem”.
“My nie powinniśmy określać zbytnio końca, ponieważ wtedy Opatrzność Boża ustąpiłaby całkowicie miejsca przezorności i zapobiegliwości ludzkiej”.

Ks. Jan Calabria (1873-1954) posiada konkretną koncepcję Opatrzności, która waloryzuje przedsiębiorczość osobową: “Pierwszą opatrznością – jest głowa na szyi, także ptakom Pan dał oczy i dziób”.
Widzi jednak niebezpieczeństwo aktywizmu i skuteczność także pośród dzieł miłosierdzia, i ostrzega: “Zauważ, że środki, zbyt wiele środków może być pokusą bardziej niebezpieczną”.

Matka Teresa Michel Grillo odpowiada na problemy społeczne Włoch, na początku naszego wieku. Założyła Małe Siostry Opatrzności Bożej, od nich, w latach trzydziestych, formuje się autonomiczne zgromadzenie Franciszkanek Bożej Opatrzności w archidiecezji São Paulo. Bł. Teresa Michel miała ks. Orione za doradcę i kierownika duchownego, i z nim dzieliła ufność w Bożą Opatrzność i wielkie zaangażowanie apostolskie.

Matka Teresa z Kalkuty (1910-1997). “Celem naszego zgromadzenia jest okazać ubogim miłość i współczucie Boga wobec nich, pokazać, że Bóg ukochał świat i kocha także ich” “Nie jesteśmy zwykłymi pracownikami socjalnymi, ale “misjonarkami”. Staramy się faktycznie ewangelizować wyłącznie poprzez naszą pracę, pozwalając, aby Bóg się objawił poprzez nią”(Gonzalez-Balado J.L., Matka Teresa z Kalkuty.....)


III. KS. ORIONE I OPATRZNOŚĆ BOŻA

1. “Plan i program Małego Dzieła Boskiej Opatrzności”

Dla nas orionistów (zakonników, sióstr, świeckich), którzy składamy IV ślub, specyfikujący charyzmat, “specjalnej wierności Papieżowi poprzez dzieła miłosierdzia”. W czym przejawia się zasadnicza ufność w Opatrzność Bożą, która dała ducha i imię naszej Rodzinie oriońskiej, “Małe Dzieło Boskiej Opatrzności”?
Właściwa odpowiedź pochodzi od samego ks.Orione, który właśnie tę potrzebę i wolę wyjaśnia swojemu Biskupowi, Eminencji ks. Bandi, pisząc: “Najwyższą zasadą Dzieła jest Opatrzność Boża”.
W “najwyższej zasadzie” ks. Orione opisuje dzieło Boskiej Opatrzności w szerokiej wizji teologicznej i praktycznej („obraz Ojca” z Ef 1, 1-10), w ciągu której później umieszcza sam charyzmat i specyfikę “Małego” Dzieła Boskiej Opatrzności.
Wizja historii zbawienia jest ukazana w trzech kołach koncentrycznych:
1. Dzieło Boskiej Opatrzności (Ojciec).
2. “Odnowienie wszystkiego w Chrystusie” (Syn).
3. Jednoczyć całą ludzkość w jedno ciało, święty Kościół katolicki, tworząc jedność z Biskupami i Papieżem (Duch Święty).
Następnie ks. Orione podejmuje te trzy koła i umieszcza w centrum swój “streszczony charyzmat” w naśladowaniu Jezusa.

Oto dlaczego nasz Pan Jezus Chrystus wyznaczył właśnie św. Piotra Apostola, który musiał uczynić się Sługą Sług Bożych, i na nim założył swój Kościół, i jemu powierzył jedność w widzialnym rządzeniu, który by przybliżał ludzi coraz bardziej do Boga... nasz najmniejszy Instytut, który z dobroci Pana, wschodzi pod nazwą Dzieła Boskiej Opatrzności, uznając w Biskupie Rzymu fundament Dzieła Boskiej Opatrzności w całym świecie.... to osobliwy cel: “wypełniać, z łaski Bożej, wolę Bożą, pełniąc wolę św. Piotra, Biskupa Rzymu i szukając większej chwały Bożej, poświęcając się doskonaleniu zakonników i zajmując się poprzez każde dzieło miłosierdzia rozsiewaniem i wzbudzaniem w ludzie chrześcijańskim słodką miłość do Następcy Naszego Pana Jezusa Chrystusa na ziemi, którym jest Biskupem Rzymu, Następca św. Piotra Apostola, szczególnie poprzez ewangelizacje ubogich, maluczkich i przygnębionych ze względu na wszelkie zło i boleści, z zamiarem przyczynienia się do umocnienia wewnątrz Kościoła jedności synów z Ojcem, a na zewnątrz przywracając rozbitą jedność z Ojcem”.

Temat i sposób, w jaki jest wyrażony charyzmat, można przedstawić poprzez dzieła miłosierdzia, wierne i zjednoczone w wierze ze św. Piotrem, i ujawniające się jako edukacja, ewangelizacja, jako instytucje dla przygnębionych i ludu.

1. Temat wewnątrz Kościoła; młodzi, biedni, maluczcy, smutni, lud...
2. Temat “ekumeniczny”: pełne zjednoczenie podzielonych Kościołów,
3. Temat misyjności w ogólności: ludy i narody stanowią słuszne prawo na ziemi i rozwiją się w naszym Panu Jezusie Chrystusie ukrzyżowanym: “Odnowić wszystko w Chrystusie”.
Ks. Orione jeszcze raz w krótkich słowach określa “specyfikę” naszego powołania (“Naszym celem jest jednoczyć z Papieżem przez Odnowienie wszystkiego w Chrystusie”) i poświęca trzy numery dla wskazania zadań odnoszących się do Osoby Ojca św.


2. Charakterystyka ideałów i praktyczne doświadczenie Opatrzności Bożej.

Ks. Orione jest jednym z wielu spadkobierców tradycji “świętych od Opatrzności Bożej”. Wspominamy o trzech “charakterystykach” doświadczenia Opatrzności Bożej typowych dla ks. Orione, choć nie wyłącznie:

2.1. Ufność Opatrzności Bożej jako ewangelizacja i odpowiedź na sekularyzację
Apostolska osobowość ks. Orione zakorzeniona jest w Chrystusowym “Pragnę” i wyraża się w zawołaniu “Dusz! Dusz!”. Przewidywał dezorientację mas robotniczych zwiedzionych ideologiami, które osłabiły wiarę. “Tak, Dzieło Boskiej Opatrzności: to głosić przeciwstawiając się materializmowi historycznemu “Tua Providentia omnia gubernat”. Opatrzność Boża jest kontynuacją dzieła stworzenia.” I poprzez to “miłością, która otwiera oczy, prowadzi serca ludzkie do Boga”.

2.2. Wizja “socjalna” i eschatologiczna Boskiej Opatrzności
Socjalny i historyczny sens wiary w Kościele był bardzo mocny u ks. Orione. Wątpliwości wobec Opatrzności Bożej były obecne, tak wczoraj, jak i dzisiaj; obraz biedy i śmierci, triumfu zła są znakami nieludzkiej społeczności “bez Boga”.
Ks. Orione pisze: “Narody są zmęczone i zawiedzione, czują, że życie bez Boga jest pustką. Czy moglibyśmy doczekać wielkiej odnowy chrześcijaństwa? Jesteśmy Synami Boskiej Opatrzności! Nie jesteśmy fatalistami, którzy myślą, że jutro świat się skończy. Prawdą jest, że korupcja i zło moralne są wielkie, lecz utrzymuję i mocno wierzę, że Bóg zwycięży, i zwycięży poprzez nieskończone miłosierdzie”.
Proponuje, więc aby poprzez dzieła miłosierdzia “wszyscy odczuli dobroć Boga”.

2.3. Wizja eklezjalna Boskiej Opatrzności
Ks. Orione tłumaczył fundamentalną miłość do Bożej Opatrzności w idei i działaniu dla Kościoła, dla jedności ludów, jedności z Papieżem i z Pasterzami. Dzieło Boskiej Opatrzności wyraża się w “Odnowić wszystko w Chrystusie” jednocząc całą ludzkość w jedno ciało, święty Kościół katolicki, zbudowany na Panu naszym Jezusie Chrystusie, pod boska mocą Biskupów, w jedności i zależności z boską i nadzwyczajną mocą św. Piotra, który jest biskupem Rzymu. Nasz mały Instytut uznaje, że Biskupowi Rzymu podlegają dzieła Boskiej Opatrzności na całym świecie... to jest jego jedynym celem... zaangażować się w każde dzieło miłosierdzia, aby wzmacniać jedność w Kościele świętym, jedność synów z Ojcem.

A więc dzieł miłosierdzia nie można oddzielić od doświadczenia “ojcostwa Boga” i “matczyności Kościoła”.

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