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Parrocchia Mater Dei.
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La Chiesa vuole che i religiosi siano presenti conla loro identità e i loro carismi anche nelle Parrocchie perché "torna a vantaggio della Chiesa stessa".

Tralascio ogni discorso sull'orioninità della Parrocchia dal punto di vita storico e prescindo anche da un giudizio di orioninità come qualità umana e spirituale. 
La riflessione è se sia legittimo, e anzi, se sia doveroso che una Parrocchia nella quale operano sacerdoti orionini (ma varrebbe per salesiani, francescani, domenicani...) abbia una connotazione orionina nel suo insieme.

Papa, Vescovi e Superiori religiosi auspicano una più identificata valorizzazione dei religiosi sacerdoti nel quadro di una realizzazione pluralistica del sacerdozio nella Chiesa. Il documento Pastores dabo vobis (31 e 74) afferma che “i sacerdoti, che appartengono ad ordini e a congregazioni religiose, sono una ricchezza spirituale per l’intero presbiterio diocesano, al quale offrono il contributo di specifici carismi e di ministeri qualificati”.

Viene così incoraggiato un esercizio pluriforme del ministero sacerdotale, secondo i carismi di vita religiosa, e una identificazione carismatica delle parrocchie gestite da religiosi che eviti la loro genericità che costituirebbe un impoverimento e non un arricchimento per la missione della Chiesa.

Il carisma è la ragione e la modalità per cui esiste una Congregazione. “Torna a vantaggio della Chiesa stessa che gli Istituti abbiano una loro propria fisionomia ed una loro propria funzione”(Perfectae caritatis 2). Dunque, la Chiesa ci vuole come dobbiamo essere, orionini, noi e le parrocchie, orionine le scuole, orionine le opere di carità, orionini i  laici e i nostri giovani! Ci siamo per questo.

“La comunione nella Chiesa non è infatti uniformità, ma dono dello Spirito che passa anche attraverso la varietà dei carismi e degli stati di vita. Questi saranno tanto più utili alla Chiesa e alla sua missione, quanto maggiore sarà il rispetto della loro identità” (Vita consacrata 4).

Evidentemente il ministero sacerdotale di noi orionini, sia nelle parrocchie e sia nelle opere, si svolgerà nel segno della comunione e collaborazione con la Chiesa locale, con il Vescovo e il clero diocesano, e nella valorizzazione di tutti i carismi laicali e religiosi. In nome dell’ecclesialità del carisma (IV voto!) non si deve rinunciare ad esprimere la propria identità e appartenenza congregazionale o limitarsi a qualcosa di individuale e ideale. No, l'identità – espressa anche nell’apostolato e non solo nella spiritualità – non è un optional personale, non è una mancanza alla comunione ecclesiale, anzi è il dono. Vale per tutti i carismi vissuti da altre comunità religiose maschili e femminili e anche da movimenti ecclesiali laicali. Apportano il contributo specifico della loro fisionomia.

L'identità orionina di religiosi, suore, laici, scuole, parrocchie e qualsiasi attività viene dal carisma trasmesso da Don Orione: “Fiduciosi nella Divina Provvidenza, collaborare per portare i piccoli, i poveri, il popolo alla Chiesa e al Papa, per ‘Instaurare omnia in Christo’, mediante le opere della carità” (Cost. 5).

Seguendo l’impulso del Fondatore, la nostra Congregazione ha vissuto e trasmesso uno stile di “preti che corrono, lavoratori” (Scritti 55, 38), “tut d'un tocpreti santi non da pipa né da saletta, ma apostoli dal cuore grande come il mare che li spinga avanti e avanti” (Parola VIII, 6), che camminano con “passo apostolico” (Scritti 66, 454). Le nostre regole parlano di un “coraggioso apostolato di punta” (Norma 116).

Capita di ascoltare espressioni del tipo “il sacerdote è sacerdote, diocesano, francescano, salesiano o orionino che sia”; “il parroco deve fare il parroco e basta”; “io sono in parrocchia e faccio quel che ho da fare in parrocchia; gli altri facciano quello che compete”. No, dobbiamo essere preti e parroci orionini.
 

Vorrei indicare tre caratteristiche dell’identità orionina trasmessa da Don Orione che sono strettamente rispondenti alle necessità della pastorale in Italia oggi:

1) la necessità di rinsaldare l’unità pastorale interna della Chiesa;

2) l’urgenza di promuovere un’azione apostolica più penetrante (oggi si direbbe di “nuova evangelizzazione”, nelle “periferie esistenziali”);

3) la convinzione che l’azione pastorale va accompagnata con la testimonianza della carità.

Sono i tre punti forza dell'identità orionina.

A ciascuna di queste necessità della vita della Chiesa corrispondono atteggiamenti, validi per preti e per i cristiani, e  riassumibili in tre slogans ben conosciuti:

1) preti e cristiani figli e non servi (funzionari, come dice Papa Francesco);

2) preti e cristiani fuori di sacrestia (in periferia, come dice Papa Francesco);

3) preti e cristiani dalle maniche rimboccate nelle opere di carità (non un club di élite con la spiritualità dello specchio come dice Papa Francesco).

 

Oggi, c’è un forte movimento (o stazionamento) a rientrare in sacrestia e in chiesa, per fare catechesi, dare i sacramenti, governare chi già c’è. C’è una ipertrofia istituzionale.

Essere figli, fuori di sacrestia e dalle maniche rimboccate significa la stessa cosa per i preti, i cristiani e la parrocchia nel suo insieme, anche se comporta modalità concrete diverse. Per tutti significa vita sacrificata a Dio e donata alla gente, con passione ecclesiale.

Con le debite cautele”, come scriveva Don Orione, cioè prudenti nel custodire i tempi di preghiera, di riposo, di famiglia, di lavoro… ma pronti ad accettare una pietà disturbata dalla carità verso la gente e una pastorale soggetta alla deregulation prodotta dai bisogni altrui e dagli appelli della Provvidenza, pronti sempre, come una molla piegata dalla carità, a ritornare dritti al proprio posto come dovere chiede e programma e organigramma pastorale esige.

 

Don Flavio Peloso, 21.3.2019

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