Questo sito utilizza cookie per le proprie funzionalità e per mostrare servizi in linea con le tue preferenze. Continuando a navigare si considera accettato il loro utilizzo. Per non vedere più questo messaggio clicca sulla X.
Parrocchia Mater Dei.
thumb
Autore: Flavio Peloso
Pubblicato in: Don Orione oggi, giugno 2020, p.5.

E' una questione di sensibilità linguistica cambiata nel tempo, ma c'è un significato che resta.

«Non ci indurre in tentazione» o «non abbandonarci alla tentazione»?

Il problema non sta nel verbo ma nel sostantivo.

Don Flavio Peloso

La necessità di cambiare nel Padre nostro l’espressione «non ci indurre in tentazione» con un’altra popolarmente più chiara era da tempo avvertita. Si è resa necessaria perché la traduzione del verbo «εισφέρειν - indurre», posto in relazione al sostantivo «πειρασμός - tentazione» (Mt 6,13), nel linguaggio corrente, sembrava attribuire a Dio la responsabilità della tentazione, quasi sia Lui a «indurre» nella tentazione al male.

La Conferenza Episcopale Italiana, di fronte all’ormai consolidato significato letterale immediato di “tentazione”, intesa come “tentazione al male”, onde evitare che l’induzione al male fosse attribuita a Dio, ha scelto e canonizzato la traduzione “non ci abbandonare alla tentazione, ma liberaci dal male”. La nuova formula fu introdotta già nel testo della Bibbia CEI nel 2008; ora, tale cambio di testo ora entrerà in vigore anche nella liturgia con l’uso del nuovo Messale in lingua italiana, a partire dal 29 novembre 2020.

La notizia finisce qui.  

Resta da chiedersi: come è possibile che per secoli si sia mantenuta una traduzione così scorretta? Ci sono dei significati del testo antico del Padre nostro che nel linguaggio corrente attuale ci sfuggono?

No l'espressione era ed è in se corretta ma il linguaggio è vivo e, con il cambiare del tempo, può assumere connotati negativi. E' il caso di "Non ci indurre in tentazione".

Tutto il disagio per la traduzione italiana «non ci indurre in tentazione» è dovuta al fatto che la traduzione del verbo εἰσφέρω – indurre, nella lingua italiana, attribuisce a Dio Padre la responsabilità dell’induzione in tentazione. Per questo il verbo è stato cambiato in «non abbandonarci alla tentazione».

Si è cambiato non indurre con non abbandonare, ma il vero problema (e la soluzione) dell’apparente incongruenza teologica della frase non sta tanto nel verbo ma nel sostantivo greco «πειρασμός» che viene tradotto con «tentazione», mentre il vocabolo «πειρασμός»  indica sia “prova” e sia “tentazione” al male.

Sono due significati e due situazioni diverse.

  1. «πειρασμός/tentatio» significa «prova», che richiede fatica, sacrificio, dolore, sofferenza, sfida, rischio…  “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla” (Gc 1, 2).
  2. «πειρασμός/tentatio» significa anche «tentazione», nel senso di seduzione, piacere attrattivo al male, al peccato. “Nessuno dica «Sono tentato da Dio», perché Dio non è tentato dal male e non tenta nessuno al male” (Gc 1, 13).

Insomma, Dio “mette alla prova”, ma non “tenta al male”. Nell’esperienza e nel linguaggio biblico, troviamo spesso Dio che mette alla prova il suo popolo, il suo fedele, persino il suo Cristo, ma non lo tenta al male e al peccato, no, anzi lo libera!

Ricordiamo che Gesù insegna il Padre nostro subito dopo l’esperienza del prova/tentazione dei 40 giorni nel deserto. Ebbene, lì ci sono le due diverse esperienze di «πειρασμός/tentatio»: “fu condotto (inducere) dallo Spirito nel deserto” (Gesù fu condotto da Dio nel deserto e diede egregia prova di fedeltà), cui seguì la diversa induzione e tentazione al male ad opera del Diavolo: “per esser tentato («πειρασθῆναι») dal diavolo” (Mt 4,1).

Con la preghiera del Padre Nostro, Gesù invita i suoi discepoli a pregare il Padre affinché possa risparmiarli dalla «prova» (“non ci indurre nella prova”) come egli stesso chiederà nella preghiera al Getsemani “passi da me questo calice”. Ma subito dopo all’invocazione «non ci indurre in tentazione/prova» c’è l’invocazione strettamente unita «ma liberaci dal male».

Dunque, Dio può indurci alla prova, anzi spesso è un segno del suo amore, anche se da figli gli chiediamo “non indurci nella prova”, ma non induce mai al male, anzi gli diciamo «ma liberaci dal male».

Diciamo, pertanto, il nostro Padre nostro in piena sintonia ecclesiale, anche con l’espressione «non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male». Però, ci sarà utile, nel dirla, pensare ancora al «non ci indurre nella prova, ma liberaci dal Male». Così continueremo a chiedere due grazie, come era nella traduzione precedente: la grazia di risparmiarci certe prove che ci incutono timore, come la chiese Gesù, e la grazia di liberarci dal male e dal Maligno.

Lascia un commento
Code Image - Please contact webmaster if you have problems seeing this image code  Refresh Ricarica immagine

Salva il commento