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Parrocchia Mater Dei.
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Nella foto: L'ultima foto di Suor Maria Plautilla Cavallo
Autore: VARI

DIONIGI TETTAMANZI (cardinale), SEVERINO POLETTO (cardinale), BRUNO GALVANI (storico), ANGELO BAGNASCO (cardinale).

SUOR MARIA PLAUTILLA

HANNO DETTO DI LEI…
 


DIONIGI TETTAMANZI (cardinale)

Don Orione oggi, settembre 2001 “Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12,3). Il cammino della vita umana ripete la lunga marcia del popolo ebraico nel deserto. E’ un cammino faticoso, infatti; interminabile all’apparenza. Perché accompagnato da un lungo corteo di prove, di sofferenze, di tentazioni. Eppure il popolo canta e cammina.
L’esperienza storica dell’esito positivo di quel lontano pellegrinare dell’esodo boblico, incoraggia i viandanti terreni di ogni tempo a guardare con fiducia la meta celeste da raggiungere. Quando? Come? Tutto è incerto. Eppure i pellegrini dell’Assoluto cantano e camminano.
E’ interessante conoscere la vicenda di vita di un’esile e giovane creatura, il cui cammino nell’esistenza fu breve. Ma fu un canto di carità percepito con chiarezza da quanti le sono stati vicini e con fascino da quanti l’hanno solo accostata brevemente e di lontano. Le onde sonore della carità e della santità hanno un dinamismo e una potenza davvero misteriosi.

Il cammino della vita della Serva di Dio, Suor Maria Plautilla Cavallo, è stato segnato dalla sofferenza fin dalla tenera età, temprato dalla forza della carità e consumato nella completa oblazione nell’arco di appena 33 anni di vita, dei quali 10 di consacrazione religiosa. Un eroico gesto di generosità, mentre si trovava gravemente inferma nel suo letto, per salvare una malata mentale salita sul davanzale della finestra, coronò la sua vita che giunse alla meta il 5 ottobre 1947.
Proveniva dalla famiglia Cavallo, di Roata Chiusani, dove era nata il 18 novembre 1913 e le era stato posto il nome di Lucia. Era sbocciata come uno dei tanti fiori della sua “provincia granda”, Cuneo, ricca di chiome verdi e di pascoli, che la vide crescere povera e semplice, irrigata di fatiche e sudori. Il rigoglio di quella fanciulla veniva dal Signore se, con singolare maturità, appena dodicenne, ella seppe sostituire, nella cura della casa e dei fratellini, la mamma morta prematuramente, e non disdegnò di raddoppiare le fatiche per contribuire al bilancio familiare in una stentata sopravvivenza.
Questo senso materno di generosa cura degli altri l’accompagnò per tutta la vita. Più tardi, quando i familiari raggiunsero una certa autonomia, poté dare libera risposta alla voce del Signore che la chiamava all’oblazione totale di sé. Rispose al Signore con la prontezza di chi è avvezzo a obbedire e a donarsi alacremente, noncurante di sé e delle proprie esigenze. Vado a “farmi santa a costo di qualunque sacrificio”, scrisse nei giorni della decisione.
Divenne suora di Don Orione. Suo campo di contemplazione e di missione fu il Piccolo Cottolengo di Genova che io ho la grazia di conoscere bene. Non mi è difficile immaginarla nel volto di qualcuna delle sue consorelle che incontro oggi in quella benemerita istituzione di carità. Una sua consorella di allora ha detto di lei: “Vedeva tutto bene, vedeva tutte buone, premurosa verso tutte le malate, si deliziava con quelle più ripugnanti. Le peggiori erano da lei le più amate e accudite con maggior cura; le teneva linde e pulite, le voleva felici, allegre; voleva l’ordine. Tutte desideravano lei. Dove passava spandeva il profumo del buon umore”.
Tra le Piccole Suore Missionarie della Carità di Don Orione si trovò a suo agio e diede testimonianza di quel “recta sapere” che edificava consorelle, ricoverati e gente che entrava in quell’orbita. Non era una suora straordinaria, di quelle da discorsi in pubblico, da catechesi ben pensate o da imprese pastorali. No. Era una di quelle suore, come lo sono tante ancora oggi, che si vorrebbero accanto al proprio letto di ospedale, o madre per il proprio figlio disabile, o vicina ai genitori anziani, o consigliera discreta con il suo ascolto e i suoi rosari accompagnati da un convinto “affidiamoci al Signore e alla Madonna”.
Da probanda e da suora, da sana e da ammalata, la sua vita può trovare la sintesi simbolica nell’umile e generoso gesto oblativo del ragazzo del Vangelo che diede a Gesù i suoi cinque pani e due pesci, veicolo di una provvidenza che non veniva dalle proprie risorse ma da quelle ben più abbondanti di Dio. Aveva dato sempre ‘tutto’ e a Dio suo ‘Tutto’ aspirava con sincera e sentita pietà. “La vera pietà, - scrisse nei suoi appunti di vita spirituale -, consiste non in tanti inchini e tante manifestazioni esteriori, ma nell’esserlo dentro davvero. Essere alla buona, semplice. Il Signore gradisce l’allegrezza di cuore”. E aggiungeva: “Senza questa virtù non si va in Paradiso. Il Signore giudica rigorosamente su questo: far del bene a tutti, del bene sempre, del male a nessuno”. Erano le parole che, come ben sappiamo, aveva in bocca e nel cuore il suo Don Orione, vicino al quale Suor Plautilla si formò. Qualcuno che conosceva bene e l’uno e l’altra la definì curiosamente “Don Orione in veste di suora”.
Ecco, amo vedere e ricordare Suor Maria Plautilla così, come una “orionina” nel senso comune che ha assunto questo aggettivo: semplice, pronta, alla buona, tutta sacrificio, di pietà soda e ignìta ma senza apparenze, sempre attiva e dimentica di sé perché ormai tutta e sola di Gesù.

Dionigi Card. Tettamanzi
Arcivescovo di Genova
Genova 14 giugno 2001

 

 

SEVERINO POLETTO (cardinale)

La vita di questa religiosa può trovare la sua sintesi simbolica nell'umile ma generoso gesto oblativo della vedova del Vangelo (cf Mc 12,41-44). Nessuno l'aveva notata, il suo gesto del dare era discreto, quasi timido, senza alcuna ostentazione. Ma Gesù che si era messo lì per osservare volle metterla in evidenza proprio perché lei aveva dato più di tutti perché pur avendo offerto due spiccioli, poca cosa, tuttavia aveva dato tutto quello che aveva.
Credo che Gesù potrebbe dire altrettanto di questa sua 'sposa' che con totalità di offerta ha dato senza calcolo e senza risparmio a Lui e ai fratelli più poveri tutta la sua breve ma intensa vita.
E' stato detto che Suor Maria Plautilla ha realizzato in sé il tipo ideale di religiosa che sognava Don Orione, soprattutto per lo stile di dedizione totale al Signore e ai fratelli fatto di umiltà, nascondimento, silenzio, preghiera e squisitezza di carità. In lei l'ordinario diventava lo spazio quotidiano di un eroico compimento della volontà di Dio con uno stile che lasciava trasparire tutta la sua limpidezza e ricchezza interiore.
Tutti siamo chiamati alla santità (LG 40) e abbiamo qui una prova di come questo ideale sia possibile anche senza fare cose eccezionali. L'esempio di questa umile religiosa serva di stimolo e incoraggiamento a tante persone che conosciamo impegnate nei vari campi di lavoro apostolico, soprattutto in quello della carità, e che hanno bisogno sempre più di testimoni per poter credere alla possibilità e al dovere di essere santi nel terribile e monotono quotidiano.

 

 

 

 

 

 

 

BRUNO GALVANI (storico)

Aver dato tutti i propri giorni e le tante veglie notturne, il proprio corpo e la propria anima alla cura di malate mentali croniche e di epilettiche, alla pulizia e all'igiene di tanti fisici disgregati, è già toccare la soglia di una dimensione eroica. Ma vivere quell'alienante diuturnità in uno spirito di perfetta letizia, vitalizzando la massima di Don Orione, secondo la quale "i nostri Poveri sono i nostri padroni. Dobbiamo servirli in ginocchio" vuol dire entrare nella dimensione della santità.
Fu una Missionaria della Carità che, anziché in terre di lontani continenti, testimoniò il suo amore evangelico in una corsia ospedaliera del proprio Paese.

 

 

 

 

 

 

Card. ANGELO BAGNASCO

«Ciò che è stato veramente grande in lei - se l'eco n'è rimasta fino a oggi - è l'atmosfera interiore che colorì di divino la monotonia insignificante del suo lavoro. Ma di questa atmosfera, solo Dio è capace di riferire. E Dio, si sa, specie nei suoi prediletti, ama mantenere il segreto nuziale». (dalla prefazione del cardinale Angelo Bagnasco)

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