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Parrocchia Mater Dei.
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Nella foto: Villalvernia dopo il bombardamento del 1° dicembre 1944. Davanti, sono don Giovanni Gatto e don Gerardo Durante.
Autore: Flavio Peloso

Il paese tortonese fu distrutto da un terribile bombardamento, il 1° dicembre 1944. I primi a intervenire furono i chierici orionini che avevano costituito due squadre di protezione civile di pronto intervento.

1944: a Villalvernia e non solo, un’epopea di solidarietà

dei chierici orionini nei giorni della distruzione

Flavio Peloso

 

            Da una foto un filo di storia

Fui a trovare Don Giovanni Gatto, un anziano orionino che sapevo assai malato. (1) Ad un certo punto, si avvicinò ad un cassetto dell’armadio e ne estrasse una scatola di cartone tenuta insieme da alcuni elastici. Apertala, vi prese una busta con su scritto Ricordi. “Mi resta ormai poco tempo da vivere. Ti consegno i miei ricordi”. E la sua mano andò immediatamente su una fotografia che strofinò sulla veste per pulirla: “Vedi, qui siamo a Villalvernia, subito dopo il bombardamento del 1944.  Quello a sinistra sono io e quello a destra è Gerardo Durante, (2) entrambi ancora chierici”.  Poi aggiunse: “Una cosa terribile; il paese completamente distrutto, oltre cento morti, molti di più i feriti. Siamo andati una squadra di chierici e preti e abbiamo lavorato a più non posso per quella povera gente”.

 Non sapevo nulla di questo bombardamento, nemmeno la data. “Il 1° dicembre 1944, ore 14.20”, mi precisò il cancelliere di Tortona, Don Carlo Gomarasca, con l’aria di chi sull’argomento conosce tutto. Ebbi poi tra le mani il bel libro curato dalla Parrocchia Santa Maria Assunta, Il bombardamento di Villalvernia. Il vuoto di una volgare carneficina, Villalvernia, 2000, con molte foto, documenti, testimonianze. Con mia sorpresa ho trovato più volte ricordata l’opera di soccorso prestata dagli Orionini.

Già in un articolo de Il Lavoro del 9.12.1944, dunque otto giorni dopo il bombardamento, si legge: “Particolarmente encomiabile è stata poi l’opera compiuta da sacerdoti, chierici e suore della Congregazione Divina Provvidenza di Don Orione di Tortona, guidati da Don Nicola”. “Vorrei ricordare – ha testimoniato Giovanni Carrea – l’opera dei chierici di Don Orione che, dando un esempio di abnegazione e di pietà cristiana, si sacrificarono per prestare un aiuto materiale e morale ai feriti e agli scampati. Ci sentiamo tutti debitori e riconoscenti per quanto hanno fatto per noi. Con un loro sgangherato camioncino, che solo la provvidenza poteva tenere in sesto, compirono innumerevoli viaggi tra il paese e l’ospedale di Tortona; altri scavarono tra le macerie, disseppellendo feriti e ricomponendo i cadaveri, come già aveva fatto in altre circostanze Don Orione”.

Tornato a Roma, all’Archivio centrale dell’Opera Don Orione, ho voluto vedere se emergessero altre notizie. Ho scoperto un capitolo di quella “storia minore” che se lascia poche tracce nelle cronache o nei libri, lascia una profonda eco popolare che si trasmette spontaneamente di bocca in bocca, di cuore in cuore. Mi riferisco all’epopea di aiuto e di pronto soccorso dei chierici di Don Orione per far fronte ai lutti e calamità seminati dalla II guerra mondiale in tutto il circondario tortonese e alessandrino.

 

            Una squadra di protezione civile in tonaca nera

Durante gli anni 1943-45, periodo di grande confusione sociale e bellica, furono molte le azioni di solidarietà che partirono dall’Istituto Teologico dei chierici di Don Orione in Tortona.

“Era toccato a me coordinare le azioni e gli interventi”, ha scritto in un Memoriale uno dei protagonisti, Don Lorenzo Nicola. (3) “Quante volte Don Sterpi, (4) sorridendomi e dandomi la benedizione, tornando da una spedizione di bene, mi chiedeva: ‘Non ti hanno ancora messo dentro?’. ‘Non ci sono ancora riusciti, grazie a Dio’, rispondevo. E mi domandavo: che avrebbe fatto Don Orione al mio posto? Brigate nere o partigiani, fascisti o tedeschi, condannati a morte o vincitori, per me erano uguali: Don Orione li avrebbe abbracciati tutti ugualmente”.

Il bombardamento di Villalvernia è stato senza dubbio l’evento bellico più tragico dell’intera zona. Lasciò nel lutto centinaia di famiglie.

“Il 1° dicembre 1944 – racconta ancora Don Nicola - ero stato a Voghera e a Pavia; la mattinata era trascorsa tra rombi lontani e sibili… Nel primo fulgido pomeriggio, vado dalla polizia e qui ho una notizia terrificante: ‘Hanno bombardato Villalvernia: e molti sono i morti!’. Due parole con i superiori, ricevo la benedizione e via! Raccolgo attrezzature e giovani chierici e partiamo su un nostro camioncino: siamo in quindici. Bruciamo col desiderio quei sette o otto chilometri che ci dividono da Villalvernia, e ci pare lento l’autista. Incontriamo e sorpassiamo macchine che sfrecciano veloci verso l’ospedale cittadino.  Passiamo davanti al santuario della Madonna della Guardia e le raccomandiamo vivi e morti: lì riposa in Dio il nostro padre Don Orione, che, ai terremoti di Messina (1908) e ad Avezzano (1915), fece miracoli di carità”.

Ma cos’era successo a Villalvernia? In quel 1° dicembre 1944, il campanile aveva da poco suonato le due quando nel cielo terso comparve una squadra di nove bombardieri che, già passati di mattino, tutti pensavano rientrassero alla base. Non fu suonato nemmeno l’allarme. E invece puntarono su Villalvernia e vi rovesciarono sopra, con precisione, il loro carico di distruzione e di morte. Molte persone si precipitarono immediatamente nei luoghi più colpiti per portare soccorso ai feriti, per salvare chi poteva essere salvato, per piangere i morti. Ma l’attacco non era finito: gli aerei tornarono e seminarono la morte su quanti erano già stati colpiti e su quanti erano accorsi in loro aiuto. Tra questi, vi era anche Don Pierino Bonaventura, (5) vice-parroco di 23 anni, sorpreso presso i feriti cui portava i sacramenti.

La cronaca è precisa di dettagli. L’obiettivo del bombardamento degli Alleati furono gli edifici ove erano stati trasferiti gli uffici delle Ferrovie dello Stato di Genova. In tre ondate successive furono scaricate 100 bombe dirompenti; dei circa 1000 abitanti di Villalvernia, 109 furono morti (dei quali 31 ferrovieri) e 253 i feriti; 100 case furono rase al suolo o gravemente danneggiate.

 

 

Pianto ed eroismo sulle macerie

La gente, dopo questo “uno-due” di terrore e di morte, restò come inebetita e incapace di pensare. “Entrando in Villalvernia regna il silenzio – annota Don Lorenzo Nicola nel suo Memoriale -. Nella prima via, a sinistra, un carretto è fermo, con l’animale a terra, e la gola squarciata: dove sarà il conducente? Silenzio. Non un rumore: la gente chiusa nelle loro case con i suoi morti. Innalziamo insieme una preghiera: ‘L’eterno riposo, dona loro, o Signore’, e levo la mano in una assoluzione a quanti ormai sono in Dio.  Mando subito Don Venturelli alla casa del parroco, mentre io guido gli altri dove è evidente, su tante rovine, il passaggio della morte. Entriamo nelle case, confortiamo, aiutiamo, dove ci segnalano le vittime della strage. Don Venturelli, che nei mesi precedenti, veniva qui a collaborare nel ministero sacro, avverte che il parroco, il venerando Don Michele Carlone è vivo: è accorso alla prima ondata a soccorrere i suoi fedeli, insieme al vice parroco Don Bonaventura; ma alla seconda ondata, questi era andato da solo, là, oltre la strada, verso la ferrovia, per soccorrere i colpiti; poi però era scomparso e non si sapeva nulla ancora di preciso. Don Carlone - compagno di seminario di Don Orione -  piangeva, povero prete, sulla scomparsa dei suoi figliani: ‘Li ho battezzati quasi tutti io, li ho sempre amati come figli ed ora me li hanno strappati in questo modo”.

Anche Don Giovanni Venturelli (6) ricorda bene quelle ore drammatiche: “Quel venerdì 1° dicembre  1944, era una giornata limpida. Avevamo osservato passare quegli uccellacci nel cielo dal cortile della Madonna della Guardia… Dopo una decina di minuti Don Sterpi mi dice: corri a Villalvernia, c’è bisogno. Vi arrivo in bicicletta: immagini orrende, terrificanti. Si scava tra le macerie, si raccolgono i morti nella chiesa, si soccorrono i feriti, la gente muta silenziosa nel dolore. Scavavamo con le nude mani, perché nutrivano la speranza di trovare tra le macerie persone vive”.

I chierici, dopo quei giorni, si raccontarono gli episodi salienti di quelle ore concitate. “Quel fanciullo che una scheggia di bomba aveva colpito al capo, là nella scuola, mentre gli altri scolari erano fortunosamente salvi… lui solo, col cervello a pezzi, povero figlio! Quella figliola che, da Carezzano, pare, transitava per Villalvernia, diretta in bicicletta al suo paese, al di là dello Scrivia era rimasta, poverina, in mezzo alla strada. Don Venturelli poi aveva trovato, in una stanza buia, accanto ai suoi papà e mamma morti, la piccola Corinna, ancor viva, e, nel gesto di sollevarla per soccorrerla, lei aveva esalato, in braccio a lui, l’ultimo respiro: ed egli non si dava pace… Così  lo sconvolgeva il fatto d’aver riconosciuto tra le vittime, la buona Carla, la solista della ben compaginata cantoria della parrocchia: brava nel canto e buona nella vita”.

 

Fatti indimenticabili

Fin che ci fu luce, in quell’inverno piuttosto rigido, si lavorò senza perdere un attimo di tempo. Era un andirivieni di chierici con le barelle portando feriti da avviare all’ospedale o morti da raccogliere. Tra tanta desolazione, quelle tonache nere che si muovevano decise, con vanghe e picconi, con barelle e medicinali, tra le case diroccate di un paese fantasma erano un segno di vita e di speranza. I familiari, storditi e affranti, seguivano quei soccorritori per dare loro delle indicazioni o per domandare dove cercare i propri cari.

Si scavò anche durante la notte.  “Allo spuntare di una luna lucentissima – continua nel suo Memoriale Don Nicola -, si poté riprendere, tanto più che era nata la speranza di salvezza per qualcuno. Una vocina  era stata udita sopra un gran cumulo di rovine. Lelio era là, con l’orecchio teso e, con lui alcuni amici, a scavare con le mani: Bruna Veronese di Castellar Ponzano, sua fidanzata, era là sotto; si udiva e rispondeva al nostro richiamo. Era andata, subito dopo pranzo, a farsi aggiustare i capelli da Giovanni, suo compaesano, che aveva appena messo su bottega a Villalvernia come parrucchiere da donna: tutti e tre rimasero sotto le macerie, insieme con altre due signore genovesi, sorelle, qui rifugiate per i bombardamenti. Quando alle undici di sera, la ragazza venne estratta, era ancora seduta con i bigodini ai capelli… Il medico di Villa Lucrezia, dottor Campi, le fece una iniezione antitetanica: ad una prima medicazione, apparve in buono stato. Tutta la gente attorno alla rediviva. Poi, su una barella, la portarono a casa sua. A Castellar, l’attendeva la mamma – in attesa di un bimbo che ora si chiama Bruno – e un bel fuoco, perché faceva freddo. Verso una certa ora parve che le sue labbra diventassero rosso ferro: il dottor Campi, le fece un lavaggio, la curò, decidendo quindi di portarla all’ospedale di Tortona per le cure necessarie. Don Venturelli corse in bici dal Kommandantur tedesco per avere una macchina. Dietro le sue insistenze, gli diedero un macchinone, con autista e un soldatone di due metri. Vicino all’ospedale parve mancasse: l’autista accelerò. Corsero gli infermieri. Sul lettino, il medico Goggi la toccò sullo stomaco con la mano: ‘Non c’è niente da fare, disse, è rotta dentro’. Bruna morì dopo due ore, assistita da Don Ferrarazzo, cappellano dell’ospedale.

Al mattino seguente, l’organizzazione si era ormai consolidata: autorità e pompieri erano accorsi, il cibo era assicurato da Tortona, i nostri motocarri, cui si aggiunsero altri dei nostri istituti di Genova e Milano, facevano la spola, esenti come erano dalla perquisizione militare. Squadre di operai vennero dai paesi vicini. Lavoravamo fianco a fianco con incaricati e ingegneri accorsi.

Un buon uomo, alto, robusto stette un po’ incredulo ad osservare i nostri chierici, impregnati di sudore e intrisi di polvere: si fece animo e li invitò a cercare due suoi  nipotini, che erano stati visti scappare. Alla fine fortunosamente li trovarono; con le lacrime non finiva di ringraziarci. Venne un’esile, timida suora, Suor Angelica delle Marcelline: “Mia nipote Carlina Bottazzi ha perso i suoi genitori e la sorellina: vorrei portarla via di qui, con me nel mio istituto”. Il giorno dopo un nostro motocarro, portò lei e la nipotina, di buon mattino, al treno per Milano, nella stazione di Tortona.

L’indomani venne il Vescovo di Tortona, Mons. Melchiori, a benedire quei suoi figli, a confortare i superstiti: fece il giro delle macerie, s’intrattenne a benedire le salme, che via via  cominciavamo a depositare nella chiesa parrocchiale; abbracciò Don Carlone, che gli piangeva davanti come un bambino. Anch’io gli baciai le mani, mentre partiva. Riuscì soltanto a dirmi: Grazie! E benedisse noi e tutta l’Opera. Aveva già visitato in ospedale e benedetto, la sera precedente, i feriti e quanti li assistevano: La benedizione del Vescovo – diceva Don Orione – è la benedizione di Dio. E continuammo il nostro lavoro”.

Tra la gente e i soccorritori c’era un fitto rincorrersi di informazioni. Si venne a sapere anche di Don Bonaventura. “Un superstite ci parlò di Don Bonaventura, il giovane curato del paese. Si era rifugiato in una capanna o portichetto a confortare un’anziana signora: perirono lui e la signora. Non era ancora compiuto l’anno da quando era sacerdote. Lo collocammo in testa alla lunga fila dei suoi fratelli e parrocchiani - oltre cento -  allineati in chiesa”.

Subito dopo quella del sacerdote, furono collocate le bare di due piccole sorelle gemelle, Corbellino Piera e Giovanna di 10 anni, vestite degli abiti da comunione e cresima. Per i funerali, il 5 dicembre, celebrati dal Vescovo di Tortona, convennero a Villalvernia il Vice-Prefetto di Alessandria e tante autorità civili e militari, una folta rappresentanza di militari tedeschi, ufficiali e soldati, e di ferrovieri del dipartimento di Genova, tanta folla piangente, anche di Castellar Ponzano e dei paesi viciniori.

Nei giorni successivi i chierici continuarono ad andare a Villalvernia per lavorare e stare vicino alle famiglie. Un giorno – è Don Venturelli a ricordare - incontrai in chiesa Tugnei (Antonio Sicbaldi) e le sue parole sono rimaste sempre in me, come segno di speranza di quel cuore, pieno di sofferenza per la morte della moglie e della figlia Vittorina: “Solo qui, in chiesa, sto bene, in pace, ma appena fuori…”.

Don Lorenzo Nicola, che coordinò il gruppo degli Orionini, conclude il suo Memoriale osservando: “Dopo questi fatti, può essere mia consolazione sapere che vennero all’Opera Don Orione lusinghieri riconoscimenti dalle autorità: ma più consola me e i miei giovani chierici di allora, adesso sacerdoti, sapere che portano in cuore affezione sincera alla gente di Villalvernia, tanto provata, ricordando quei giorni di tragedia”.

 

Un bollettino di imprese di soccorso

Tra i documenti di archivio ho trovato anche un Resoconto dell’opera di soccorso svolta durante la guerra dagli Orionini di Tortona. E’ scritto da Don Lorenzo Nicola, su richiesta di un suo superiore; è senza data, ma precedente la conclusione della guerra mondiale.

“Abbiamo due squadre di pronto soccorso, ciascuna di dodici elementi: il capo, il cappellano, l’infermiere, due barellieri, un portaordini e sei chierici per i vari uffici, raccolta feriti, ricupero salme, sterro di fabbricati ecc.

Praticamente siamo intervenuti una ventina di volte nella nostra zona, alcune rare volte senza risultato, per grazia di Dio, non essendovi né feriti né morti, altre volte con risultato. Elenco:

  1. Pontecurone: nel luglio 1944: bombardamento dei ponti; accorsi con autocarro, abbiamo raccolto un ferito e portato all’ospedale di Tortona.
  2. Rivalta: 17 agosto 1944, bombardamento della polveriera; accorsi con macchina abbiamo medicato un ferito leggero.
  3. Rivalta: un nostro chierico aiuta ad estrarre da un apparecchio americano caduto, i cadaveri dei due aviatori.
  4. Tortona: 1° agosto 1944, bombardamento dei ponti della  Scrivia: D. Simioni soccorre un ferito sul letto del torrente, sotto un secondo bombardamento.
  5. Tortona: 12 settembre 1944, bombardamento della Casa del Fascio. Raccogliamo un morto e alcuni feriti.
  6. 12 settembre, bombardamento dei ponti dello Scrivia: coi militi  raccogliamo un milite fulminato dall’alta tensione; altro bombardamento. Ai ponti: sono morti un uomo e una donna.
  7. Tortona: agosto 1944, mitragliamento di un treno germanico dopo il bivio: soccorriamo coi tedeschi e Brigate Nere, alcuni soldati germanici feriti portandoli all’ospedale e ne portiamo uno morto alla camera mortuaria dell’Ospedale.
  8. Alessandria: agosto 1944, dopo il bombardamento della stazione, accorrono i nostri colla macchina: aiutano Don Lucarini (7) nel soccorso.
  9. Tortona: 1° dicembre 1944, bombardamento Stazione: aiutiamo a trasportare all’ospedale alcuni feriti.
  10. Villalvernia: 1° dicembre 1944, accorriamo dopo il bombardamento per il soccorso ai feriti ed il ricupero delle salme Vi torniamo per dieci giorni consecutivi in numero da venti a trenta, con alcune Suore, per lo sterro delle macerie, sotto le quali troviamo molte salme, che le Suore di D. Orione compongono nella Chiesa del povero paese. I morti di Villalvernia sono circa centoventi. (Accludo testimonianze-copia del Capo della Prov. di Aless., della Brigata Nera di Aless. e del Capo Comp. delle FF.SS. di Genova).
  11. Tortona: 14 dicembre 1944, bombardamento dell’Alfa: i nostri Sacerdoti e Chierici corrono al soccorso: alcuni di loro si trovano sotto il bombardamento della  2.a ondata, uno è leggermente ferito, un altro è ricoperto di terra. Portiamo all’ospedale, aiutati dai pompieri e dai militari, alcuni morti e diversi feriti.
  12. Novi: dopo il gravissimo bombardamento del luglio e agosto, tutti i nostri religiosi del S. Giorgio si prodigano mirabilmente per il soccorso dei feriti e per il ricupero delle salme dei moltissimi colpiti.
  13. In un secondo bombardamento di Novi (dicembre 1944) i nostri confratelli di Novi si sono prodigati con lo stesso spirito di abnegazione.
  14. Nel bombardamento di Erba (Como) i nostri sacerdoti e chierici del Seminario di Buccinigo sono accorsi in aiuto dei feriti e per il ricupero delle molte salme.
  15. Tortona: 18 gennaio. Notte: Una casa bombardata. Corriamo al soccorso e, coi pompieri, togliamo dalle macerie quattro feriti e un ragazzetto morto.
  16. Tortona: 31 gennaio, bombardamento della ferrovia. Un morto e alcuni feriti.
  17. Tortona: 9 marzo. Notte: bombardamento di S. Rocco, Episcopio e varie case. Raccogliamo due morti e due feriti.
  18. Il lavoro di questi giorni: Abbiamo corso tanto a calmare gli animi e ad implorare clemenza per i prigionieri. Abbiamo già ottenuto molto. Molte vite sono state risparmiate e si è avuto ai prigionieri buon trattamento. Si portano notizie e pacchi ai prigionieri. Si lavora anche, d’intesa con le Autorità italo-germaniche per lo scambio dei prigionieri. Di questa attività difficile e delicata si potrà meglio dire in seguito.

            Ecco, caro D. Cesaro, alcune notizie, in forma di pro memoria, circa l’attività caritativa di questi tempi. Che il Signore ci aiuti a continuare ad aiutare i nostri fratelli che più hanno di bisogno e ai quali forse nessun altro potrebbe arrivare. Ora stiamo organizzando, con l’aiuto e sotto la  direzione di alcuni Vescovi, una specie di assistenza caritativa ai prigionieri, tutti, lavorando attivamente: è questo il primo scopo, alla pacificazione degli animi, soprattutto tra Italiani. E ciò potrà dare frutti meravigliosi di bene specialmente in un domani, che si può prospettare anche vicino”.

 

            Questo Resoconto, scritto ancora al vivo degli avvenimenti, è eloquente nel suo laconico e incalzante elenco e nella sua luminosa conclusione che facciamo nostra: questa memoria di generosità possa servire a stimolare la carità fraterna, la pacificazione degli animi e frutti di bene.

 

 

 


N O T E _____________________________________________

1.  Don Giovanni Gatto, nativo di Montebelluna (TV),  fece gli studi di teologia a Tortona dal 1944 al 1947 e divenne sacerdote l’anno seguente. Furono tante le mansioni che durante la sua vita svolse da un capo all’altro d’Italia con generosa semplicità. Concluse la sua vita a Pescara il 10.5.2000 all’età di 81 anni.

2.  Don Gerardo Durante all’epoca dei fatti aveva 30 anni, era ancora chierico perché entrato in congregazione in età adulta; fu a Tortona per la teologia dal 1943 al 1947, anno della sua ordinazione sacerdotale. Era nato a Rio San Martino (VE) il 15 settembre 1914 e morì a Genova-Castagna 1l 10.12.1999.

3.  Don Lorenzo Nicola nacque a Cornale (Pavia, diocesi di Tortona) il 28.2.1912. Entrò ragazzo nel seminario di Tortona, nel 1921, e nel 1924 seguì il fratello Carlo entrando nella congregazione orionina. Sacerdote nel 1934; singolarmente dotato per gli studi, si laureò in Teologia nel 1935.  Fu direttore della casa di Varallo Sesia (1939-1942) e poi fu prefetto dei chierici orionini nella Casa madre di Tortona dal 1942 al 1946, qui visse in modo attivo ed eroico le tragedie della guerra prodigandosi generosamente, anche a rischio della propria vita, a salvezza e conforto di tutti. In seguito, partì missionario per l’argentina ove rimase fino al 1956. Fu inviato poi in Spagna, ove fu uno dei protagonisti dell’avvio della congregazione in quella nazione. Nel 1963, tornò in Italia nel tentativo di combattere la leucemia; morì a Genova-Castagna il 13.9.1965.

4.  Il venerabile Don Carlo Sterpi  (Gavazzana 1874 –  Tortona 1951) era da poco succeduto a Don Orione alla guida della Congregazione.

5.  Don Pierino Bonaventura era nato il 7.1.1921 a Serravalle Libarna. Entrò giovanissimo nel seminario di Tortona; dal 12.11.1944 era sacerdote coadiutore a Villalvernia.

6.  Don Giovanni Venturelli (Volta Mantovana 18.71914) divenne religioso orionino nel 1931 e fu ordinato sacerdote nel 1940. All’epoca dei fatti si trovava nella Casa madre di Tortona come insegnante e addetto all’Ufficio Stampa.

7.  Don Giovanni Battista Lucarini, di Pieve Bovigliana nelle Marche (1.5.1915), fu ordinato sacerdote nel 1939. All’epoca dei fatti, si trovava come direttore della casa orionina di Alessandria. Poi nel 1948 partì missionario per il Cile dove si trova attualmente dopo aver trascorso alcuni anni anche in Argentina e Spagna.

 

 

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