Questo sito utilizza cookie per le proprie funzionalità e per mostrare servizi in linea con le tue preferenze. Continuando a navigare si considera accettato il loro utilizzo. Per non vedere più questo messaggio clicca sulla X.
Parrocchia Mater Dei.
thumb
Autore: Flavio Peloso



Terremoto calabro-siculo (28.12.1908):
dal disastro alla speranza.


Don Flavio Peloso
Milano, 10 gennaio 2009


Padre dei poveri, insigne benefattore dell'umanità dolorante e abbandonata ”: così Pio XII definì Don Luigi Orione nel telegramma inviato in occasione della sua morte, avvenuta il 12 marzo 1940. La definizione non fu gratuita o di circostanza, perché Pio XII ben conosceva Don Orione. Costituì il riconoscimento di una personalità, di un progetto, di una storia.

Il 28 dicembre2008 si è compiuto il primo centenario del terremoto che distrusse le città di Messina e di Reggio Calabria.

In quell'occasione la capacità organizzativa dello Stato italiano, che aveva trovato la sua unità da pochi decenni, venne messa a dura prova dalle disastrose conseguenze di sofferenza e di morte del cataclisma. Ma, nello stesso tempo, la macchina dei soccorsi trovò validi protagonisti sia tra le fila dei civili come degli ecclesiastici. Tra questi ultimi è da annoverare san Luigi Orione.

Negli anni dal 1909 al 1912, Messina e Reggio terremotate assistettero alla sua prima grande rivelazione pubblica . Fu una rivelazione di fede e di carità, di umanità e di intraprendenza, che avvenne “ non nella confusione, bensì in una distinzione amorevole, in un calore di amore e di fervida coscienza ”, come testimoniò il duca e letterato Tommaso Gallarati Scotti che incontrò Don Orione proprio sulle macerie di Messina.

La permanenza di tre anni in Sicilia segnò il decollo nazionale di Don Orione . Non tanto nel senso di fama e notorietà, anche, ma piuttosto per le relazioni con il fior fiore delle personalità laiche ed ecclesiastiche d'Italia convenute in soccorso sui luoghi del terremoto. L'unità d'Italia si vide e si fece a Reggio e a Messina e non con le schioppettate e i morti sparsi qua e là per l'Italia, quasi a giustificare il progetto di unità già deciso e programmato altrove.

Sulle macerie delle città distrutte concentrarono i loro soccorsi di braccia e di cuore sante figure religiose come Annibale Di Francia, Giovanni Messina, Padre Giovanni Semeria , Gaetano Catanoso , Pietro La Fontaine , Emilio Cottafavi, Salvatore De Lorenzo, Luigia Tincani, e molti altri. C'era il Patronato “Regina Elena”, un'istituzione umanitaria laica sotto l'egida della Casa reale e con presidente la contessa Gabriella Rasponi Spalletti. Il Ministero degli Interni aveva i propri funzionari, agli ordini del prefetto Trinchieri, quali incaricati statali dei soccorsi. A portare aiuti giunsero organismi laici del tutto estranei – e qualche volta in militante contrasto – con le motivazioni religiose. Don Orione entrò in contatto con l'Associazione Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia che raccoglieva eminenti personalità della cultura italiana (Zanotti-Bianco, Gallarati Scotti, Von Hughel, Franchetti [“ se tutti i preti fossero come Don Orione, mi farei cristiano anch'io ”], associazioni protestanti e massoniche. Non pochi di questi protagonisti laici della solidarietà erano nell'onda del modernismo e finiranno per entrare non solo nell'orbita caritativa di Don Orione.

Pur frenati dalla dovuta discrezione di fronte alla memoria della peggiore catastrofe naturale che l'Italia abbia conosciuto, ben venga questo centenario in cui molti ricorderanno quel tragico 28 dicembre per far emergere tra l'oscurità del male la luce di civiltà e di carità. Come scrisse Seneca, “ ciò che fu atroce a sopportare, può essere sublime a ricordare ”. Facciamo parlare i fatti e i protagonisti di bene.

Ore 5, 20 del 28 dicembre 1908 : una scossa di terremoto – di soli 30 secondi, ma del 10° grado della Scala Mercalli – e un maremoto, con onde che raggiunsero i 10 metri di altezza, travolsero Messina e l'antistante costa calabra. I morti furono circa 80.000, il 91% degli edifici venne raso al suolo o reso instabile.

Don Orione apprese la notizia il 29 dicembre dai giornali che parlavano di distruzioni. Aveva il cuore grande – “ perché dilatato dalla carità di Cristo ”, avrebbe aggiunto – e rimase scosso dalle notizie, anche se frammentarie. Decise di intervenire. Tribolò con il vescovo di Tortona perché lo lasciasse partire. Per le spese di viaggio non esitò a vendere un paio di buoi e il 4 gennaio notte, partì alla volta di Roma. Fu in Vaticano, per avere indicazioni, e lo stesso giorno ripartì per la Calabria ove giunse al mattino del 6 gennaio. Andò prima di tutto a Cassano Ionio per predisporre col Vescovo Mons. La Fontaine l'accoglienza dei primi orfani e farsi rilasciare delle lettere commendatizie per le Autorità civili ed ecclesiastiche di Reggio e di Messina. Ripartì subito verso i luoghi disastrati.

Il viaggio da Catanzaro a Reggio fu difficile e rocambolesco a motivo delle interruzioni di strade e ferrovia. Gli ultimi 45 Km ., da Bova a Reggio, furono i più problematici e solo dopo un giorno e una notte, Don Orione poté giungere a Reggio, il 9 gennaio mattino. Si fermò alcuni giorni per i primi soccorsi. Ma la sua destinazione era Messina. Il giorno 14 arriva a Messina e di lì fece una corsa a Noto, ove c'era una comunità di suoi religiosi. Poi, secondo l'indicazione della Santa Sede, si stabilì a Messina, ove verrà nominato Vicario generale della Diocesi. Vi resterà fino all'aprile del 1912, “ siciliano con i siciliani ”. “ A Messina io vestivo «il rubbone» alla siciliana ”, ricorderà.

Si prodigò per raccogliere, assistere e salvare più orfani possibili . Collocò al sicuro inizialmente 400 bambini affidandoli alla Santa Sede; da 600 a 1000 li indirizzerà tra vari istituti in collaborazione con il Patronato “Regina Elena”; altri 600 in istituti di sua fiducia, altri ancora tra le sue case di Tortona, Sanremo, Cuneo, Bra, Roma, Noto e Cassano Jonio.

Fondamentale fu la sua azione di collegamento tra le opere di soccorso laico , in particolare del Patronato “Regina Elena”, di cui fu nominato Vicepresidente, e la Santa Sede , per conto di Pio X.

Papa Pio X volle che Don Orione restasse sui luoghi del cataclisma anche dopo l'epopea eroica dei primi soccorsi per coordinare la ricostruzione e lo nominò Vicario generale della diocesi. Vi rimase per più di tre anni, fino all'aprile del 1912. Qualche volta si è indugiato a descrivere le avversità, le persecuzioni e calunnie che subì in quei tragici e gloriosi anni. Pio X, conoscendo la sua situazione, affermò di lui “ E' un martire! E' un martire! ”. Da parte sua, Don Orione disse: “ Amo Messina e i messinesi, perché ho sofferto con loro qualche poco e perché essi sono tra i più degni d'Italia ”.

A Reggio Calabria operò inizialmente e poi seguì e aiutò da lontano con poche visite. Rispondendo a Mons. Emilio Cottafavi, Delegato pontificio per i soccorsi a Reggio, che lo invitava ad andare anche in quella Città, il 10 ottobre 1909 scrive: “Io vorrei venire, ma cosa vuole? Alla mattina è già sera, e alla sera è già mattina; e la mia vita è una ruota”. Però, nonostante tutto sta programmando qualcosa anche per Reggio: “Sa che metterò i miei (religiosi) a Reggio? Vorrei metterci l’Oratorio festivo e una scuola di religione con palestra”; e termina con una dichiarazione, che riporto a conclusione di queste affrettate e un po’ arruffate parole, quale chiara conferma dell’amore di D. O. per questa terra e solidarietà con i suoi abitanti: “Vede – fa osservare a Mons. Cottafavi -, vede che non abbandono la Calabria e che sono anch’io calabrese”.

A riconoscimento della sua instancabile attività, il Ministro Segretario di Stato per gli Affari dell'Interno, Presidente del Consiglio dei Ministri, gli conferiva con Regio Decreto del 5 giugno 1910 la Medaglia d'argento ed il diploma per “l'opera da esso data nell'occasione del terremoto del 28 dicembre 1908 in Calabria e in Sicilia” .

Vale la pena scavare ancora tra le macerie del terremoto, a 100 anni di distanza. Vi si trovano non più distruzione e morte, ma fatti, persone e storie di speranza.

Lasciando ad altri la ricostruzione più direttamente storica dell'epopea dei soccorsi di Don Orione ai terremotati, (1) desidero avvicinare questa pagina di storia con un interrogativo ben preciso: quali indicazioni possiamo ricavare per il nostro modo di vivere la solidarietà oggi?

Quali lezioni possiamo prendere da Don Orione per essere costruttori di speranza oggi in una società che oggi ostenta solidità e sicurezza ma anche tanti segni di crolli, macerie, frammentazione e desolazione?

 

1)  AUTONOMIA DI INIZIATIVA E LIBERTÀ DI AZIONE

Per l'enorme impresa di soccorso e assistenza attuata dopo il terremoto calabro-siculo, Don Orione non poté contare subito su risorse istituzionali assicurate previamente, né civili e né ecclesiastiche. Non è che agì perché aveva . Agì perché aveva cuore , cominciò umilmente, concretamente. Poi smosse la solidarietà di altri che misero a disposizione molte risorse personali, economiche e di strutture.

Coinvolse innanzitutto la sua piccola e traballante congregazione ancora agli inizi (“ un baraccone ”, la chiamava), un grande numero di congregazioni religiose e di ecclesiastici (tra tutti, ricordiamo il Catanoso, il canonico De Lorenzo, padre Annibale Di Francia), associazioni e istituzioni laiche ed ecclesiastiche, ottenne aiuti consistenti da innumerevoli benefattori “ nel nome della santa carità ”. Anche il Vescovo di Cassano Ionio, card. Pietro La Fontaine mise a disposizione parte dell'episcopio per accogliere gli orfani.

L'autonomia di iniziativa nell'offrire e nel ricercare la solidarietà , che ha la sua condizione nell'autonomia di finanziamento, è un fattore di speranza e di progresso sociale imprescindibile . Lo fu al tempo di Don Orione e lo è oggi. Poi vennero anche aiuti pubblici, doverosi e di giustizia, ma la speranza si accese prima dalla carità che dà del proprio, in termini di risorse personali, intellettuali, spirituali, relazionali, operative e anche economiche.

Don Orione arrivò a Reggio e poi a Messina nelle condizioni di Pietro di fronte allo storpio che gli chiedeva aiuto : “Egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». E, presolo per la mano destra, lo sollevò e quello, balzato in piedi, camminava ed entrò con loro nel tempio, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide camminare… e fuor di sé per lo stupore accorse…” ( Atti 3, 1-11).

Apro una parentesi di attualità. La Chiesa oggi, in molti stati e un poco anche in Italia, è nelle condizioni di Pietro e di Don Orione. Dalla fine del 1700, con la nazionalizzazione del patrimonio ecclesiastico, la soppressione degli Ordini religiosi, la nazionalizzazione degli ospedali, la Chiesa perdeva in Francia e successivamente in Europa gli strumenti che per secoli le erano serviti per fare carità. Dal 1700, e oggi con nuove forme, la base normale della sua economia non sono più le sovvenzioni messe a disposizione dei poveri dallo Stato e gestite dalla Chiesa, ma sono le offerte dei cristiani date alla Chiesa perché essa le usi a favore dei bisognosi. (2)

Oggi è cresciuto il protagonismo statale nel campo dell'assistenza e del welfare : fatto di cui rallegrarsi perché è una espressione di giustizia sociale. La Chiesa ne guadagna in libertà, anche se con difficoltà di reperimento di risorse. Gestire i servizi per conto dello Stato – questo fanno oggi molte opere cattoliche in Italia - cercando almeno di mettervi “qualità umana e religiosa” è impresa sempre più difficile perché l'assistenza statale è fortemente ideologizzata culturalmente (secondo obiettivi, valori e spesso persone dominanti) ed economicamente (aiuto economico subordinato agli obiettivi dominanti).

Dunque, la iniziativa personale e la ricerca di solidarietà sempre più ampia (compresa quella dello Stato) è la prima lezione data da Don Orione nel suo agire nel soccorso ai terremotati.

 

2)  COMINCIARE SEMPRE DAI PIÙ POVERI

E' un'altra caratteristica dell'opera di solidarietà in Don Orione. Significa privilegiare anzitutto i più deboli, gli ultimi, i più abbandonati, e privilegia l'aiuto nei bisogni primari quando questi manchino (la vita, il pane, un tetto, la salute, la famiglia, ecc.)

Giungendo sulle zone del terremoto è interessante vedere le prime mosse di Don Orione. Le prime tribolatissime giornate e settimane furono di “pronto soccorso” : feriti, moribondi, gente impazzita dal dolore, orfani, affamati, gente al freddo e senza rifugio, indifesi dagli “sciacalli” che rubavano beni e orfani (anche questo c'è stato) e indifesi dai lupi che scendevano affamati nei paesi.

In un primo momento, non si mosse da ispettore o da organizzatore della solidarietà ; chissà quanti altri sarebbero morti o impazziti nel frattempo!

E' una chiara indicazione per la solidarietà cristiana: “partire dagli ultimi”, “opzione preferenziale dei poveri”, come leggiamo spesso oggi in un linguaggio entrato nel vocabolario comune.

Per “quelli che nessuno vuole e tutti rifiutano, Chiesa compresa” (3) aprì le sue case Don Orione. Servire i più poveri è una scelta permanente e da rinnovare con continue “ri-partenze”. “ Quelli che hanno protezione da altra parte, per loro v'è già la provvidenza degli uomini, noi siamo della Provvidenza divina, cioè non siamo che per sopperire a chi manca ed ha esaurito ogni provvidenza umana ”. (4)

 

3)  PROMOZIONE DEI PIÙ POVERI E SPECIALIZZAZIONE DELLA CARITÀ

Trascorse le prime settimane di emergenza, nell'opera di soccorso a Messina e nella Marsica, don Orione passa dall'opera di primo e pronto soccorso dei beni primari in favore dei più poveri e deboli ad un'opera di promozione dei poveri . Egli si mette in contatto con altri organismi; promuove sensibilizzazione tramite i giornali, si occupa dei diritti di proprietà e delle case dei terremotati; pensa al futuro degli orfani provvedendo scuola, educazione, lavoro; riorganizza chiese e strutture della Chiesa locale, ecc. Apre chiese, collegi, istituzioni caritative. Dalle baracche di San Prospero e di Viale San Martino, si passò a quella che diverrà l'Opera Antoniana delle Calabrie e il Centro Don Orione di Messina.

Egli seppe unire alla carità come “pronto soccorso” la carità “promozione dei poveri”, come studio dei problemi, socializzazione e organizzazione delle soluzioni, promozione della giustizia, educazione all'autonomia delle persone, ecc. Valorizza tutto ciò che la scienza e il progresso possono offrire. Citando il Pasteur, Don Orione afferma: “ La salvezza, non solo degli ospedali ma del mondo, sta sotto le due grandi ali: carità e scienza ”. (5) Coniò l'espressione “ scienza caritativa ” (6) per dire la compenetrazione nei contenuti e nelle finalità tra scienza e carità. Don Orione ama una “ carità illuminata che nulla rigetterà di ciò che è scienza, di ciò che è progresso, di ciò che è libertà, di ciò che è bello, che è grande e che segnò l'elevazione delle umane generazioni ”. (7)

Sono due dinamiche diverse e interdipendenti. Il partire dai bisogni primari dei più poveri, assicura l'ancoraggio esistenziale alla necessaria “specializzazione nella carità”.

Anche l'impegno della solidarietà nei tempi attuali deve tenere contemporaneamente presenti e in relazione carità di “pronto soccorso” e carità di “promozione specializzata”. La nostra Congregazione cerca di tenere in equilibrio le due forme di “carità” con nuove partenze dai bisogni primari dei più poveri e con la loro promozione specializzata.

 

4)  CARITÀ CRISTIANA NELL'ASSISTENZA SECOLARIZZATA

Durante l'aiuto alle popolazioni del terremoto calabro-siculo, Don Orione sperimentò che la solidarietà e l'assistenza non erano un campo di attività riservato alla Chiesa o prevalentemente svolto da istituzioni religiose. Alla secolarizzazione della società iniziata diffusamente con la rivoluzione francese era seguita, sia pure con un certo ritardo, la secolarizzazione o la laicizzazione dell'assistenza sociale. A questo fenomeno reagì la Chiesa italiana con atteggiamento di intransigente contrapposizione, “protestando – come ci riferiscono Pietro Borzomati e Maria Mariotti per quanto riguarda la Calabria – contro il mutamento politico che sottraeva all'influenza della Chiesa istituzioni e ambiti attraverso cui in passato maggiormente essa aveva fatto sentire la sua presenza nella società: istruzione, educazione, assistenza a poveri, malati, carcerati, ecc.”. (8)

Don Orione trovò sui luoghi del terremoto una realtà di assistenza molto laica e diversificata, dove quella religiosa era una tra le tante . Pio X gli disse: “Ti farai due volte il segno della croce, e poi va dalla Spalletti e portagli via gli orfani” . (10)

Il santo piemontese non solo prese a collaborare alacremente e “da sacerdote” con tutte le persone in campo , ma divenne il loro riferimento morale.

Divenne il primo collaboratore della Spalletti tanto che poi Pio X fece i complimenti a Don Orione: “Lei è diventato il primo santo del calendario della Spalletti”. E Don Orione commentò: “ L'espressione mi fece tremare perché la Spalletti ha pochi santi cattolici nel suo calendario ”. (11) Del laicissimo Patronato Regina Elena fu addirittura nominato Vice-Presidente sia a Messina che, poi, nella Marsica. Strinse con lo Stato una collaborazione intensa. A Messina, si attirò non pochi guai e opposti sospetti per la sua frequentazione con esponenti del pensiero modernistico. Divenne il coordinatore del soccorso proveniente dal mondo ecclesiale, fu il referente della carità del Papa, mobilitò numerose congregazioni religiose nell'aiuto a chi aveva perso tutto, nell'assistenza a feriti, nell'educazione di orfani. Pio X lo nominò Vicario generale di Messina ove rimase per ben 3 anni.

Quanto avvenuto in quel contesto di Reggio e Messina ha qualcosa da dire anche oggi. L'assistenza, rispetto a quei tempi, è andata sempre più secolarizzandosi: l'assistenza statale ha avuto un grande sviluppo legislativo e pratico; sono oggi innumerevoli le organizzazioni laiche pubbliche e private, con molti mezzi e persone.

1.  Va superato l'atteggiamento pregiudiziale di rifiuto e di polemica verso l'assistenza laica incentrato teoricamente sull'opposizione filantropia-carità: quella realizzata da chiunque, questa dalla Chiesa.

2.  Va attuato un serio rapporto con lo Stato e la sua legislazione , per assumerla, correggerla e promuoverla coraggiosamente. Don Orione non aveva paura di accettare i sussidi dello Stato o di inserirsi nelle sue strutture, pur gelosissimo della libertà di impostazione e della qualità cristiana del servizio. Diversamente lasciava anche buone opportunità.

3.  Va vissuto un serio confronto con tutte le istituzioni di assistenza . Don Orione sapeva “imparare” e assumere metodi e mezzi nel campo assistenziale ed educativo che venivano dal mondo laico. “Anche quelle forme, quelle usanze che a noi possono sembrare troppo laiche, rispettiamole, e adottiamole, occorrendo, senza scrupoli, senza piccolezza di testa: salvare la sostanza bisogna! Questo è il tutto. Noi, in tutto che non tocca la morale, la dottrina e la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare coi tempi e camminare alla testa dei tempi e dei popoli... E allora toglieremo l'abisso che si va facendo tra Dio e il popolo. (12)

4.  Identità, forme e stile di servizio siano chiaramente cristiani (e orionini) assumendo e interpretanto le leggi secondo l'identità cristiana e, se necessario, criticandole per rinnovarle.

Nel rapporto con istituzioni laiche e secolari Don Orione non temeva di inquinarsi, anzi, vedeva una possibilità di mettervi il buon fermento del Vangelo. Ma non temeva neanche di presentarsi come “sacerdote” e di giudicare e agire secondo la fede cristiana. Era la carità che trasformava i rapporti sia con i poveri e sia con quanti s'occupavano dei poveri. È la carità che fa dellle opere di carità “ fari di fede e di civiltà ”.

 


APPENDICE:
Tommaso Gallarati Scotti ricorda Don Orione
come conosciuto durante i soccorsi a Messina dopo il terremoto


Il 22 novembre 1955 usciva, in terza pagina del “Corriere della sera”, uno splendido articolo di Tommaso Gallarati Scotti , il grande letterato milanese, di cui riportiamo uno stralcio riferito alla prima conoscenza di Don Orione avuta a Messina durante i soccorsi dopo il terremoto calabro-siculo.

«Qui è l'amico di don Orione, non il letterato che parla… Il privilegio della mia conoscenza profonda di don Orione viene appunto da questo, che la nostra, oso dire, amicizia, se si può parlare di amicizia con un simile Uomo, data precisamente da quel 1908 in cui ci trovammo insieme in un'opera sociale e religiosa, a Messina, dopo il terremoto.

La prima impressione che ebbi fu di meraviglia perché questo piccolo prete, non elegante, di nessuna apparenza – solo gli occhi erano meravigliosi quando si accendevano per le cose di Dio e del prossimo – quest'uomo così modesto, così poco discorsivo – poche parole e molti fatti – aveva intorno a sé un alone, non dico di simpatia, che è una parola banale, ma di venerazione, sin d'allora, che mi fece molta meraviglia…
Io parlai con uomini che allora erano molto lontani dallo spirito di don Orione, dalla fede di don Orione, e che, in un momento di divisione tra i due poteri molto marcata, rappresentavano il polo opposto di don Orione. Parlo di Sonnino, di cui tutti sanno qual era lo spirito nettamente anticlericale; parlo di Leopoldo Franchetti, altissima anima, generosissima nel comprendere i bisogni del Mezzogiorno, ma che, oltre tutto, era israelita. Ebbene, questi due uomini parlavano di don Orione come di un grand'Uomo. Erano affascinati da don Orione come da chi avesse dentro di sé qualcosa da dire al mondo, non solo all'Italia. Erano commossi quando parlavano con don Orione, erano umili di fronte a don Orione.

“Che cosa c'era dentro, in quest'uomo?” io mi domandavo, “che cosa è? Dov'è avviato? Qual è il suo destino? Vescovo forse? Papa?”.

Solo oggi posso dire: tutti sentivano il Santo.

Il Santo che è al di sopra di tutti, che congiunge tutti, che abbraccia tutti, che comprende tutti. C'era in don Orione una comprensione umana per cui quelli che erano compresi, si sentivano avvicinati a lui e, attraverso lui e a quello che c'è di divino in ciascuno, si sentivano avvicinati all'afflato eterno che Dio spira in tutte le anime umane».

 

NOTE __________________________

 

1) Don Luigi Orione e la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Documenti e testimonianze. Vol. V: 1909- 1912 , a cura di Giovanni Venturelli, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 1989. In realtà il volume inizia con il 28 dicembre 1908; presenta e ordina la documentazione dei quattro anni di Don Orione a Messina e sullo scenario della ricostruzione dopo il terremoto.

2) Cfr. Giuseppe Butturini, Breve storia della carità. La Chiesa e i poveri . Gregoriana, Editrice, Padova, 1989.

3) “ Noi siamo per i poveri, - anzi per i più poveri e più abbandonati ”, Scritti 62, 32; “ Devo ben chiarire che noi siamo i preti dei poveri, e siamo per i poveri più infelici e abbandonati: per quelli cioè che sono i così detti rottami, il rifiuto della società ”, 75, 123; “ Non poniamo alcun limite nell'accettare quelli che sono veramente miseri: è la Provvidenza che ce li manda, e sono nostri fratelli. Teneteveli cari: li riceverete alla porta, scoprendovi il capo, e li accoglierete con i segni più affettuosi della carità di Gesù Cristo, e d'in ginocchio bacerete loro le mani e i piedi ” (97, 251).

4) Scritti 97, 251.

5) Scritti 61, 169. Parlando del principale istituto di carità di Genova, destinato a disabili gravi mentali e psichici, scrive: “ Io vorrei fare di Paverano un Istituto di cui la Provincia e Genova abbiano sempre più ad onorarsi: carità e scienza!” (47, 245).

6) Scritti 57, 169.

7) Scritti 111, 125.

8) Maria Mariotti, La Chiesa a Reggio Calabria fra Ottocento e Novecento , p.13, in Aa.Vv., La figura e l'opera del canonico Salvatore De Lorenzo , Reggio Calabria 1993; cfr Pietro Borzomati, Aspetti religiosi e storia del Movimento Cattolico in Calabria (1860-1919) , Rubbettino, Soveria Mannelli 1992.

9) DOPO,VI, 425.

10) Processo Apostolico di Pio X, XVIII, p. 648.

11) DOPO, V, 77.

12) Scritti 20, 97b.

Lascia un commento
Code Image - Please contact webmaster if you have problems seeing this image code  Refresh Ricarica immagine

Salva il commento